Сronologia 4

testo tradotto in italiano da Claudio dell'Orda

This Italian translation of the fragments of the 4-st volume by Anatoly Fomenko was done by Claudio dell'Orda from the English edition: 
A. T. Fomenko, T. N. Fomenko, V. V. Kalashnikov, G. V. Nosovskiy
History: " Fiction or Science?"
THE CHRONOLOGY OF RUSSIAN HISTORY.
NEW CHRONOLOGY AND CONCEPTION OF BRITISH HISTORY. ENGLAND AND RUSSIA (OR THE HORDE).
THE CHRONOLOGY AND GENERAL CONCEPTION OF ROMAN AND BYZANTINE HISTORY

Capitolo 3: La nostra ipotesi

 

12. La falsificazione della storia e dell’archeologia di Novgorod   sul Volchov

 

12.4. Novgorod sul Volchov: stranezze nelle datazioni degli strati di occupazione.

 

Come abbiamo visto, gli storici sono dell'opinione che lo strato di occupazione di Novgorod sul Volchov sia cresciuto di soli due metri negli ultimi 400 anni, a partire dalla fine del XV secolo ([993], pagina 16). Tuttavia, era cresciuto due volte più velocemente nei 500 anni precedenti ([993], pagina 16). Apprendiamo che “nel corso dei 550 anni trascorsi tra la metà del X secolo e la fine del XV secolo, era cresciuto di 5,5 metri” ([993], pagine 15-16). Questo è davvero bizzarro; la crescita dello strato occupazionale dipende direttamente dalle attività umane. L'accademico V. L. Yanin descrive in modo piuttosto vivido il processo di formazione dello strato di occupazione:

“L’attività umana ha il seguente effetto collaterale, che è molto importante per l'archeologia: la formazione di uno strato di occupazione in ogni area abitata dall'uomo per un periodo di tempo più o meno lungo. Qualcuno… taglia la legna per costruire una casa, con i trucioli che volano in ogni direzione e cadono a terra. Poi le scarpe di qualcuno si strappano e la suola vecchia viene buttata via; poi una casa brucia e qualcuno rade al suolo il luogo dell’incendio e costruisce una nuova abitazione… così, ovunque ci siano esseri umani, si forma lo strato di occupazione, anno dopo anno, lentamente ma costantemente. Lo spessore di questo strato dipende dall'intensità dell'attività umana e dalla capacità di conservazione della materia organica del suolo locale” ([993], pagina 15).

Come dovremmo rapportarci a questa situazione, in questo caso con Novgorod su Volchov? Visto che nei primi 550 anni lo strato di occupazione era cresciuto al ritmo di un metro al secolo, come avrebbe potuto rallentare fino a 50 centimetri nei successivi 400 anni? Come ha potuto diminuire e ridursi l’intensità dell’attività umana? Questo sembra davvero molto strano; a dir poco, l'attività umana è diventata molto più intensa negli ultimi tempi. Se la capacità di conservazione del suolo nella regione di Volchov, fosse cambiata drasticamente ad un certo punto del XV secolo, sicuramente vorremmo saperne di più.

Tutto quanto sopra implica che la datazione consensuale dello strato di occupazione a Novgorod sul Volchov è palesemente errata. Sembra che l'intera formazione dello strato di occupazione debba essere avvenuta ad un ritmo costante negli ultimi 400-500 anni, forse con una leggera accelerazione a partire dal XV secolo, o con la fondazione dell'insediamento sul fiume Volchov. Secondo gli stessi archeologi, la notevole altezza di questo strato è spiegata dal fatto che “la materia organica si conserva bene nei dintorni di Novgorod” e nient'altro ([993], pagina 15). Tenete presente che le zone paludose conservano davvero molto bene la materia organica; in quei luoghi non marcisce quasi mai.

Osserviamo ora il ritmo dello strato di occupazione nella regione di Volchov, intorno alla Cattedrale di Santa Sofia, presumibilmente uno degli edifici più antichi della Russia, che come ci viene detto, “non è mai stato ricostruito dall'XI secolo e ha conservato... la sua forma originale fino ai giorni nostri” ([731], pagina 53). Si è scoperto che “negli ultimi nove secoli, lo strato di occupazione ha coperto due metri della parte inferiore dell'edificio” ([731], pagina 54). Vale a dire, che lo strato di occupazione che si è formato intorno alla cattedrale principale della regione di Volkhov negli ultimi 900 anni, si presume sia uguale in altezza allo strato che si è formato nel centro di Novgorod sul Volchov nel corso di 400 anni ([993], pagina 16). Anche se ci fidassimo della cronologia consensuale di questo strato di occupazione, la cattedrale “antichissima” di Santa Sofia dovrebbe essere datata al XV secolo e non all'XI. Siamo dell'opinione che questa cattedrale sia stata costruita ancora più recentemente, nel XVII secolo e non nel XVII. Pertanto, lo strato di occupazione attorno ad essa è cresciuto di circa un metro al secolo.

Tra l’altro, va detto che la velocità di crescita dello strato di occupazione è stata calcolata dagli archeologi a partire dagli strati della pavimentazione, o per lo meno concorda con la relativa “dendrocronologia di Novgorod”. Infatti, secondo V. L. Yanin:

“A Novgorod, Lo strato di occupazione non era soggetto a putrefazione e nel Medioevo cresceva di un fattore di un centimetro all’anno. Era cresciuto di 5,5 metri tra la metà del X e la fine del XV secolo... per cui, la formazione dello strato di occupazione antico ha impiegato 28 pavimenti e 550 anni” ([993], pagine 15-16). L'altezza degli strati della pavimentazione è quindi pari a 5 metri, e la loro formazione ha richiesto 550 anni, circa un metro al secolo, ovvero un centimetro all'anno, così come apprendiamo dagli storici. Possiamo quindi calcolare circa 500 anni a ritroso dal XX secolo, per finire al XV secolo come data di fondazione della città. La Cattedrale di Santa Sofia deve essere stata costruita nel XVII secolo, poiché è sommersa di 2 metri. Dobbiamo inoltre segnalare che durante gli scavi nella cattedrale sono state rinvenute tracce di affreschi incisi:

“Molti frammenti di affreschi scolpiti sono stati scoperti durante gli scavi del sagrato di Martiryevskaya... Il restauro dell'opera d'arte della cupola iniziò nel 1944... si scoprì che il Pantocratore e la parte superiore delle figure degli arcangeli... furono dipinti agli inizi del XVI secolo su terra fresca” ([731], pagina 62). Vale a dire che l'intonaco venne staccato prima nel XVI secolo, e la terra fresco deve risalire più o meno alla stessa epoca; pertanto, la Cattedrale di Santa Sofia sul Volchov porta segni evidenti dei successivi lavori di ricostruzione commissionati dai Romanov (terra fresco e affreschi scolpiti).

Tuttavia, le modifiche radicali al progetto originale non si fermano qui. Secondo M. V. Mouravyov:

“Nel 1688 e nel 1692, il pavimento della cattedrale fu rialzato di 1,62 metri... i tre pali rotondi sono stati demoliti, ampliate le strette finestre originarie e demolite le pareti per aprire altre finestre. Nel 1837 fu ricostruita l'intera cinta settentrionale; nel 1861 furono rimosse le piccole lapidi sopra i defunti sepolti nella cattedrale. Infine, nel 1893-1904 la cattedrale subì una completa ristrutturazione, che portò alla sostituzione delle opere originali dei maestri italiani con i lavori dei decoratori della cooperativa dell'imprenditore Safronov” ([557], pagina 15).

È rimasto qualcosa dell'originaria cattedrale del XVI secolo? Vediamo che anche le opere d'arte del XVIII secolo sono scomparse senza lasciare traccia. M. V. Mouravyov ci racconta un altro episodio piuttosto caratteristico:

“C'erano molti graffiti sulle pareti interne di Santa Sofia (iscrizioni incise sull'intonaco), alcuni di essi sono in glagolitsa [scrittura pre-cirillica - trad.] ... possono essere considerati come una specie di cronaca della pietra del vecchio tempio... Questi graffiti furono scoperti da I. A. Shlyapkin durante l'ultimo restauro, mentre venivano scalpellati gli strati freschi di intonaco; tuttavia, quando la Commissione Archeologica espresse il desiderio di proseguire con lo studio dei graffiti, le pareti erano già ricoperte di stucco fresco, il che ha privato gli scienziati della maggior parte dei materiali di ricerca” ([557], pagina 17).

In verità, oggigiorno le attività più strane si chiamano “restauri”.

Le informazioni che abbiamo sugli eventi “antichi” che presumibilmente ebbero luogo a Novgorod sul Volchov, provengono dalle cronache russe nella loro edizione e interpretazione del XVII-XVIII secolo ([365]). Come cominciamo a capire oggi, gli originali perduti devono essersi riferiti agli eventi di Yaroslavl. Dopo la riforma romanoviana del XVII-XVIII secolo, questi eventi furono trasferiti dal Volga alla regione del Volchov. Nel XIX-XX secolo, gli storici e gli archeologi confusi iniziarono a fare pellegrinaggi presso il “centro arretrato dell'anonima provincia di Novgorod”, come M. Karger ha ragione a chiamarlo ([365], pagina 5). Gli eventi descritti nelle cronache, alla fine sarebbero stati legati alla località di Volchov; alcuni di loro erano abbastanza vaghi da permetterlo, altri no. Ci sono stati alcuni fiaschi completi; tuttavia, le chiese della regione del Volchov vengono ancora ostinatamente erroneamente identificate come “i templi della Novgorod dei tempi passati riflessi nelle cronache”. Uno degli innumerevoli luoghi vuoti è stato dichiarato “proprio la piazza dove si riuniva la famosa veche di Novgorod”. Il famigerato massacro di Novgorod fu associato alla regione di Volchov invece che a Yaroslavl, e fu subito ritrovata la stanza dove “ebbe luogo la triste festa di Ivan il Terribile” ([731], pagina 34), che è stata ormai fotografata da innumerevoli turisti intimoriti e creduloni. L'elenco continua.

Secondo la nostra ricostruzione, niente di quanto sopra è vero; i fatti che apprendiamo dalle cronache sono avvenuti tutti altrove, a Yaroslavl sul Volga. A proposito, il nome stesso Volchov è una versione leggermente corrotta del nome Volga.

 

 

12.5. I documenti sulla corteccia di betulla erano stati utilizzati dagli “antichi” romani e quindi non possono essere antecedenti al XIV secolo.

Tutte le considerazioni esposte in precedenza ci offrono una nuova percezione sul fatto che i presunti antichi romani usassero ampiamente la corteccia di betulla per scrivere. Come stiamo cominciando a capire, anche i documenti “antichi” romani sulla betulla devono essere stati scritti nel XIV-XVIII secolo e non nella “profonda antichità”. La storia della loro scoperta è la seguente.

Nel 1973, l’archeologo britannico Robert Burley iniziò i suoi scavi nei pressi del famoso Vallo di Adriano [il Vallo dell’Orda?], che risale al presunto II secolo d.C. “Si è imbattuto in due sottili schegge di legno. Burley ritiene che assomigliassero piuttosto a trucioli di legno... sono stati srotolati accuratamente con un temperino e all'interno gli archeologi hanno trovato dei frammenti di messaggi in latino. Lo stesso Burley ricorda che 'guardavamo la minuscola missiva e ci rifiutavamo di credere ai nostri occhi'... Burley aveva in mano i resti di una lettera scritta con inchiostro, che parlava di indumenti inviati da qualcuno a un soldato che aveva prestato servizio a Vindolanda intorno al 102 d.C.” ([726], pagina 124).

Sottolineiamo che la lettera era stata scritta con l’inchiostro; se fosse rimasta sottoterra per due millenni, molto probabilmente l'inchiostro sarebbe stato lavato via quando la corteccia di betulla fu portata alla luce. Pertanto, quei messaggi devono essere molto meno antichi di quanto pensino gli archeologi e gli storici inglesi.

“Burley aveva tutte le ragioni per essere fervente, tuttavia in quel momento non sospettava nulla. Aveva portato alla luce il più grande deposito di documenti che fosse mai stato trovato nelle province settentrionali dell'Impero Romano. Nei successivi quattro anni, Burley e i suoi assistenti riuscirono a ritrovare più di duecento documenti o frammenti di documenti con iscrizioni antiche; nel 1988 ne raccolsero più di mille, inclusi duecento pezzi di corteccia con scritto sopra diversi testi latini... La maggior parte di essi erano fatti di corteccia di betulla od ontano bianco, staccata da alberi molto giovani, e le iscrizioni erano fatte con inchiostro e con l’utilizzo di una canna. Questi pezzi di corteccia appena raccolti erano così elastici che venivano modellati in pergamene arrotolate trasversalmente alle fibre, che equivaleva a sigillare la lettera e legarla con un filo. I pezzi di corteccia più grandi misuravano 20 x 8 centimetri… È così che è stato scoperto il più antico gruppo di documenti storici britannici; si è rivelata una fonte unica di informazioni riguardanti le guarnigioni romane nel nord-ovest. Dopo circa 1900 anni di oblio, i romani acquartierati in Gran Bretagna, parlarono ai loro discendenti attraverso questa raccolta di epistole” ([726], pagine 124-125).

Secondo la nostra ricostruzione, i documenti in questione sono delle epistole in corteccia di betulla utilizzate dalle truppe cosacche nel XV-XVII secolo, comprese quelle acquartierate nelle isole britanniche dopo la conquista “Mongola” = Grande. Alcune cronache le avevano definite truppe romane, ed è così che vengono conosciute dalla storia di Scaligero, che le aveva datate a un'immaginaria epoca antica.

Uno di questi documenti può essere visto nella fig. 3.39. A questo proposito gli storici scrivono quanto segue:

“Questa lettera è stata conservata in uno degli strati più antichi di Vindolanda; era scritta con inchiostro su legno. La missiva è un invito a una festa di compleanno, inviato alla moglie di un comandante militare dalla consorte di un altro capo delle truppe romane... la sua scrittura è molto simile alla scrittura demotica (non geroglifica), trovata sui papiri egiziani della stessa epoca; sembra che tutto l’impero utilizzasse lo stesso sistema di stenografia” ([726], pagina 127; vedere anche la figura 3.40).

Tutto è perfettamente chiaro, e spiegato alla perfezione dalla nostra ricostruzione. Vediamo che tutto L’impero Mongolo = Grande del XIV-XVI secolo, aveva utilizzato lo stesso sistema stenografico, proprio come dovrebbe fare uno stato centralizzato, dove la vita delle province imperiali, non importa quanto distanti, è in sincronia con quella del centro, adottando le stesse consuetudini e i principi utilizzati sia nella città sul fiume Volchov, che nelle guarnigioni dell’Orda presenti nella lontana Gran Bretagna e nell’Africa d’Egitto (vedi Cronologia5 per maggiori dettagli).

 

12.6. In riferimento alle “Datazioni di Novgorod” di A. A. Zaliznyak e V. L. Yanin. In che modo gli accademici sopra menzionati datarono al XII secolo i documenti in corteccia di betulla del XVIII secolo.

Dobbiamo spendere qualche parola sull'articolo degli accademici A. A. Zaliznyak e V. L. Yanin, intitolato “Il Libro dei Salmi di Novgorod dell'XI secolo è il Libro più Antico della Russia” ([290:1]), pubblicato sulla “Vestnik Rossiyskoi Akademii Nauk” (la rivista ufficiale dell'Accademia Russa delle Scienze) nel Marzo 2001. Questo è l'articolo che apre il numero di marzo; siamo grati ad A. Y. Ryabtsev per aver attirato la nostra attenzione su questa pubblicazione, poiché contiene passaggi molto bizzarri dal punto di vista della cronologia e dei metodi di datazione.

L'articolo di Zaliznyak e Yanin si occupa delle scoperte nel campo dell'archeologia di “Novgorod”, che negli ultimi tempi hanno avuto una certa risonanza; in primo luogo, il pezzo di corteccia di betulla con un disegno che su un lato raffigura Santa Barbara, vedi la fig. 3.41 e, in secondo luogo, le tre tavolette cerate con le iscrizioni incise nella cera, che Zaliznyak e Yanin chiamano “Il Libro dei Salmi di Novgorod” ([290:1], pagine 202-203). Entrambi gli oggetti furono scoperti durante gli scavi del 2000 a Novgorod sul Volchov ([290:1]).


Figure 3.41.
Foglio in corteccia di betulla raffigurante Santa Barbara.
Trovato durante gli scavi a Novgorod sul fiume Volchov;
lo strato fu scoperto e fu datato “al primo terzo dell’XI secolo”
da V. L. Yanin ([290:1], pagina 202).
Tuttavia vediamo una data in fondo al foglio: il 7282 “da Adamo”,
che la cronologia moderna converte al 1774 d.C.,
ossia proprio alla fine del XVIII secolo.
Fotografia tratta da [290:1], pagina 203.

La scoperta ha goduto di grande pubblicità; il 27 marzo 2001 l'Accademia Russa delle Scienze ha tenuto una sessione estesa del suo Presidium alla presenza di funzionari governativi russi. L'accademico Y. S. Osipov, presidente della RAS, ha sottolineato questa scoperta nel suo rapporto, menzionandola innanzitutto quando ha parlato delle conquiste della storia e dell'archeologia russa. L'ha definita una scoperta stupenda (vedi il testo del suo rapporto nella rivista “Vestnik”, 2001, Volume 71, Numero 8, pagina 682).

Ci asteniamo dal giudicare il valore di queste scoperte per la scienza storica e linguistica. La questione che ci interessa è di carattere formale. Come sono stati datati gli oggetti antichi con le iscrizioni. menzionati da Yanin e Zaliznyak nel loro articolo? I due autori provano a datare i ritrovamenti all'inizio dell'XI secolo ([290:1]). Più precisamente, cercano di datare al primo terzo dell'XI secolo, lo strato di terreno da cui è stato estratto il disegno su corteccia di betulla in questione ([290:1], pagina 202). Per quanto riguarda lo strato in cui sono state rinvenute le tre tavolette che compongono il “Libro dei Salmi”, questo è stato datato al primo quarto dello stesso XI secolo ([290:1], pagina 203). Quindi, secondo l'opinione di Zaliznyak e Yanin, entrambi gli oggetti provengono “dall'antica Novgorod” e sono stati realizzati circa mille anni fa. Ciò li porta alla conclusione che i due ritrovamenti non devono essere altro che testi russi veramente antichi. Ad esempio, affermano che le tre tavole che formano il “Libro dei Salmi”, sono state scritte da un rappresentante della “prima generazione di russi alfabetizzati”, che “quasi certamente fu un testimone del battesimo della Russia” ([290:1] , pagina 206).

La “precisione” delle datazioni offerte in [290:1] è impressionante; Zaliznyak e Yanin stimano che il “Libro dei Salmi” debba essere datato “all’epoca tra l’inizio degli anni 990 e la fine degli anni 1010”, offrendoci così una datazione con un tasso di precisione di 10 anni; lo stesso equivale a circa 15 anni, in entrambe le direzioni, per la datazione del pezzo di betulla di “Novgorod” menzionato in precedenza, che è stato datato al “primo terzo dell'XI secolo” ([290:1], pagina 202).

Abbiamo messo tra virgolette la parola “Novgorod” per una buona ragione: secondo la nostra ricerca, la città sul Volchov conosciuta oggi come Novgorod, non ha nulla in comune con Novgorod la Grande che ci è nota dalle cronache russe. A quanto pare l'odierna “Novgorod” aveva ricevuto questo nome solo nel XVII secolo, sotto i primi Romanov, durante la loro campagna di falsificazione della storia dell'antica Russia. Recentemente, nel XVI secolo, questa città era conosciuta come “okolotok” (la parola si traduce con “insediamento parrocchiale”, vedi in [731], pagina 9, e Cronologia4, Capitolo 3:12.2. Come abbiamo scoperto, la storia di Novgorod sul Volchov difficilmente può essere rintracciata più indietro del XV-XVI secolo d.C. Inoltre, è sicuramente la storia di un piccolo insediamento e non di una grande città: la roccaforte di Novgorod magniloquentemente conosciuta oggigiorno come “La Cittadella” o anche “Il Cremlino”, è molto probabile che sia stata costruita nel XVII secolo e non prima, come un semplice insediamento fortificato durante la guerra con la Svezia.

Ribadiamo che, secondo i risultati delle nostre ricerche, gli oggetti più antichi rinvenuti negli strati pavimentali di Novgorod sul Volchov risalgono al XV-XVI secolo e non prima, poiché sino ad allora non esistevano né la città, né le pavimentazioni. La datazione dello strato più basso della pavimentazione proposta da V. L. Yanin all'XI secolo, ci appare errata. La datazione corretta è molto successiva, vedi Cronologia4, Capitolo 3:12.

Come datano, Zaliznyak e Yanin, il primo oggetto, ovvero il disegno, la cui fotografia, come riportata nel loro articolo, può essere vista nella fig. 3.41?

Il metodo di datazione su cui si insiste nell'articolo di A. A. Zaliznyak e V. L. Yanin ([290:1]), è basato sulla datazione dendrocronologica degli antichi strati pavimentali sepolti nella profondità nel terreno. Scrivono quanto segue:

“La stagione 2000 iniziò con una piacevole sorpresa. Nello strato datato al primo terzo dell'XI secolo, è stato rinvenuto un piccolo pezzo di corteccia di betulla, con schizzi di figure umane incisi su entrambi i lati. Una delle figure può essere identificata come Gesù Cristo. La figura sul lato opposto è accompagnata da un'iscrizione che può essere facilmente letta come “Varvara” (versione slava del nome Barbara), preceduta dalla lettera A in un cerchio, che era l'abbreviazione abituale della parola greca per “santa (agios). L'immagine di Santa Barbara corrisponde completamente al canone: indossa una corona e tiene in mano la croce di un martire” ([290:1], pagina 202). Vedi fig. 3.41.


Figure 3.42.
La datazione sulla corteccia, posta sotto Santa Barbara.
Quello in alto è un ingrandimento della fotografia,
mentre in basso c'è una copia con le cifre disegnate.
Vediamo una tipica grafia del XVIII secolo e la datazione del 7282 (o 1774 d.C.),
in numeri arabi regolari.
Nell'angolo in alto a destra vediamo la lettera slava ecclesiastica з,
che sta per 7.
La cifra in questione corrisponde alla cosiddetta indizione,
ovvero l'anno ecclesiastico dato secondo un ciclo di 15 anni,
a partire da settembre. Infatti, nel 1774 l'indizione corrispondeva a 7.
L'indizione che è stata aggiunta, in un certo senso rende
la datazione più ecclesiastica,
poiché corrisponde allo stile comune dell'antica letteratura ecclesiastica russa.
È del tutto naturale che una data di indizione arcaica venga trascritta
con gli antichi numeri slavi e non con il loro equivalente in arabo moderno.
La fotografia è tratta da [290:1], pagina 203 (ingrandimento).

Pertanto, il pezzo di corteccia di betulla in questione è datato da [290:1], in accordo con la datazione dello strato di terreno in cui è stato scoperto. Gli attuali strati dendrocronologici di “Novgorod”, a loro volta, dipendono dalla dendrocronologia dei pavimenti in legno che furono portati alla luce fino al XX secolo. Il gruppo di architetti che aveva condotto gli scavi era guidato per la maggior parte da V. L. Yanin; la sua scala delle datazioni di “Novgorod” è stata sviluppata piuttosto recentemente. Anche se il concetto di datazione dendrocronologica ha senso teoricamente, la sua implementazione, suggerita da V. L. Yanin nel caso della “dendrocronologia di Novgorod”, ci sembra dubbia. Abbiamo spiegato la nostra posizione con la massima cautela e nei dettagli in Cronologia4, Capitolo 3:12. Il suddetto pezzo di corteccia di betulla confermerà la fondatezza dei nostri dubbi.

Il fatto è che il pezzo di corteccia in questione contiene una datazione piuttosto esplicita, ben visibile ed in ottimo stato di conservazione. Ergo, abbiamo un'eccellente opportunità di verificare le datazioni dendrocronologiche di V. L. Yanin. La data del disegno corrisponde all’XI secolo d.C., ovvero alla datazione di Yanin dello strato pavimentale in cui è stato ritrovato? Se la risposta sarà positiva, la dendrocronologia di “Novgorod” riceverà almeno qualche conferma; altrimenti ci ritroveremo con le datazioni dei reperti di Yanin che contraddicono le informazioni contenute nei reperti stessi. In quest'ultimo caso lo sarebbe inoltre molto interessante conoscere l'esatta natura di questa datazione e se differisce drasticamente da quella suggerita da Yanin per il rispettivo strato di suolo (il presunto XI secolo d.C.).

A proposito, l'effettiva presenza di una data sotto il disegno di Santa Barbara non è contestata da nessuno dei due autori: “Un altro dettaglio degno di nota è che troviamo una data incisa sulla tavoletta sotto il disegno di Santa Barbara” ([290: 1], pagina 203). L'interpretazione di questa data da parte di Yanin e Zaliznyak verrà discussa separatamente tra breve.

Passiamo alla fig. 3.42, dove si vede un ingrandimento della tavoletta con la data incisa sopra, sia chiaro, incisa e non scritta ([290:1], pagina 203). Ciò spiega il fatto che la scrittura manchi della facilità e delle curve fluide della penna; è pesante, rigida e rettilinea.

L'interpretazione della datazione in questione non è certo un compito difficile: vediamo una tipica scrittura del XVIII secolo, con dei regolari numeri arabi che dicono 7282. Devono indicare l'anno secondo l'era ecclesiastica russa “da Adamo”, ossia l'era bizantina. L'inizio della nuova era (d.C.) cade nell'anno 5508 da Adamo.

Questa cronologia era ufficiale in Russia fino alle riforme di Pietro il Grande. Tuttavia, i russi l'hanno utilizzata per molti anni a seguire, soprattutto per le esigenze della chiesa. Ancora oggi alcune pubblicazioni ecclesiastiche utilizzano queste datazioni, che potrebbero sembrare arcaiche, ma sono tuttavia ancora vive. È abbastanza facile calcolare che l'anno 7282, come specificato nel documento in studio, corrisponde all'anno 1774 d.C. nella cronologia consensuale, dal momento che 7282 meno 5508 = 1774. Nientemeno che la fine del XVIII secolo! La grafia dell'autore è per l'appunto tipica del XVIII secolo. Infatti, date un'occhiata a come ha scritto i numeri. Innanzitutto vediamo che la cifra sette differisce dalla sua controparte moderna, solo per un singolo tratto (o una piega), tipico della fine del XVIII secolo e oggi anacronistico, vedere la fig. 3.42.

Come prova, passiamo a vecchi documenti che risalgono alla stessa epoca. Nella fig. 3.43 si vede il frammento di una pianta stradale di Mosca scritta a mano, risalente al 1776; vediamo moltissimi numeri, tutti scritti alla fine del XVIII secolo. Si vede anche il nome scritto della via Dmitrovka (fig. 3.43). Questa pianta è stata presa dal libro intitolato La Storia di Mosca nei Documenti del XII-XVIII Secolo ([330:1], pagina 218). C'è scritto “Pianta del sito in via Petrovskaya destinato alla costruzione del teatro”. Questo documento è un originale del XVIII secolo ([330:1], pagina 218).

Gli ingrandimenti dei numeri utilizzati sulla pianta, possono essere visti nella fig. 3.44. Vediamo che la cifra sette ha la stessa “coda” in basso come la sua cugina del documento sulla corteccia di betulla di “Novgorod”. Pertanto, la prima cifra della data sulla “corteccia di betulla” è il sette.

Il secondo e il quarto numero sembrano esattamente uguali: due archi con dei trattini all'estremità inferiore, vedi la fig. 3.42. Risulta abbastanza evidente dagli esempi presentati nella fig. 3.44. A proposito, la cifra due era identica alla lettera russa D, nella scrittura della fine del XVIII secolo, forse a causa del fatto che la parola russa per “due” (dva) inizia proprio con questa lettera. Che le due fossero intercambiabili è evidente dall'iscrizione su un'altra illustrazione del XVIII secolo, che si vede nella fig. 3.45. Anche questa è stata presa da La Storia di Mosca nei Documenti del XII-XVIII Secolo, nel capitolo intitolato “I ponti pedonali sugli stagni di Presnya, illustrazioni del XVIII secolo” ([330:1], pagina 210). Un dettaglio di questa illustrazione è presentato nella fig. 3.46; vediamo che la lettera e il numero sono identici.


Figure 3.43.
Mappa del XVII secolo, usata per dare un esempio della grafia tipica di quell'epoca.
Tratta dal libro intitolato “La Storia di Mosca nei Documenti del XII-XVIII Secolo”, e raffigurante il “Progetto del Lotto di Terreno in via Petrovskaya Riservato alla Costruzione di un Teatro. 1776.” Presa da [330:1], pagina 218.


Figure 3.44.
Esemplari di numeri scritti a mano e la lettera D (Д) simile al 2, grafia russa della fine del XVIII secolo. Tratto da [330:1], pagina 218.




Figure 3.45.
Alla fine del XVIII secolo, la lettera D scritta a mano era identica alla cifra 2. In altre parole, i due segni erano intercambiabili. L'immagine è tratta dal libro “La Storia di Mosca nei Documenti del XII-XVIII Secolo”, ed è intitolata “Ponti per Passanti sugli Stagni di Presnya. Disegno del XVIII secolo”. Tratto da [330:1], pagina 210.





Figure 3.46.
Un ingrandimento del disegno precedente con le scritte. Tratto da [330:1], pagina 210.



Figure 3.47.
La datazione sulla corteccia di betulla: 7282 (numeri arabi), [indizione] 7 (la lettera slava ecclesiastica “zemlya”) rispetto alla stessa data i cui singoli numeri furono estratti da esemplari di grafia della fine del XVIII secolo. Questa datazione si converte nella scala cronologica moderna come 1774 d.C. (7282 – 5508 = 1774).

In questo caso non si può fare a meno di notare che occasionalmente veniva usata la lettera D, conosciuta anche come il numero due, scritta senza alcun trattino in basso; a quanto pare, questo dettaglio era facoltativo. È così che vediamo scritta questa lettera all'inizio della parola “Dmitrovka”, nella suddetta pianta del 1776, vedi le figg. 3.43 e 3.44, un semplice arco senza trattino in basso; vediamo che questa cifra viene trattata esattamente nello stesso modo, nel documento su corteccia di betulla: i trattini inferiori sono rudimentali, ma comunque presenti, vedi la fig. 3.42.

Per quanto riguarda la terza cifra, riconosciamo senza problemi il numero otto; è scritto con due incisioni curve, proprio come ci si aspetterebbe di trovare il numero otto inciso su un pezzo di corteccia di betulla. Nonostante le complicazioni derivanti dal metodo di scrittura, il numero è molto chiaro, vedi la fig. 3.42.

Come abbiamo già detto prima, la data che abbiamo trovato è l'anno 7282; è in un sistema cronologico diverso ma comunque comprensibile, e si converte nel 1774 d.C., ossia la fine del XVIII secolo, nel regno di Caterina la Grande.

Nella fig. 3.47 si vede il documento in corteccia datato 7282, a confronto con lo stesso numero in una scrittura a mano del XVIII secolo, ripreso dalla suddetta pianta del 1776. Si vede lo stesso numero, l'unica differenza sono i materiali utilizzati in entrambi i casi (carta liscia e corteccia di betulla più ruvida). Le linee graffiate tendono ovviamente ad avere meno curve rispetto a quelle disegnate con la penna.

Vi facciamo anche notare la lettera slava ecclesiastica з (che sta per “7”), sopra la data e a destra (vedi fig. 3.42). In questo caso è facile da capire: la cifra in questione si riferisce all'indizione, ovvero al numero dell'anno in una speciale cronologia ciclica con un ciclo di 15 anni. Va sottolineato che il valore dell'indizione del 1774 è di fatto pari a 7.

Il fatto che questa data sia accompagnata da un numero di indizione, la rende in qualche modo più “ecclesiastica”, o più congrua con le datazioni comuni nei libri ecclesiastici dell'antica Russia. È inoltre perfettamente ovvio che il numero arcaico di indizione sia trascritto in numeri slavi antichi e non in quelli arabi moderni. Prestiamo infine attenzione al piccolo scarabocchio che segue la prima cifra sette nel data sulla corteccia di betulla; pare che sia un punto, vedi la fig. 3.42, poiché non è possibile incidere un punto su un pezzo di corteccia di betulla con la stessa facilità con cui lo si scrive su carta. È probabile che separi le migliaia e veniva molto utilizzato nella numerazione araba.

A proposito, nessuna indicazione del genere è mai stata usata nella numerazione slava ecclesiastica; la cifra delle migliaia era indicata da un apposito segno che stava prima della cifra corrispondente, e non dopo di essa; questo segno è costituito da linee rette e sarebbe facile da graffiare su un pezzo di corteccia di betulla. La sua assenza, di per sé porta alla conclusione che i numeri utilizzati non sono slavi ecclesiastici, come credono A. A. Zaliznyak e V. L. Yanin ([290:1]).

L'interpretazione di questa data, su cui hanno insistito Zaliznyak e Yanin, è degna di nota e, in un certo senso, piuttosto edificante. Citiamo:

“Un altro curioso dettaglio [si potrebbe dire “relativamente poco importante”? – Aut.] è la data scarabocchiata sulla corteccia; questa data si legge come 6537 (dalla Genesi) e corrisponde al 1029 d.C. Il primo, il terzo e il quarto numero sono l'indizione slava ecclesiastica, mentre il secondo è romano, come suggerisce S. G. Bolotov. Pertanto, Santa Barbara fu disegnata da una persona che aveva trovato difficoltà a trascrivere correttamente la data nella numerazione slava ecclesiastica, essendo tuttavia a conoscenza della corretta trascrizione occidentale” ([290:1], pagina 203).

Ci asteniamo dal commentare approfonditamente una così strana interpretazione di un numero trascritto in numeri arabi regolari, utilizzati ancora oggi. Ci limitiamo ad informare i lettori sulla trascrizione della datazione 6537 (ossia 1029 d.C., poiché 6537 – 5508 = 1029) nella numerazione slava ecclesiastica. È la seguente:

 

Ѕ  Ф  Д  З

 

“S” sta per la lettera slava ecclesiastica “zelo”, che sta per 6000 (accompagnata da uno segno   speciale),

“Ф” è la lettera slava ecclesiastica “fert”, che sta per 500,

“Л” è la lettera slava ecclesiastica “lyoudi”, che sta per 30,

e “З” è la lettera slava ecclesiastica “zemlya”, che sta per 7.

 

Non c'è niente del genere sul pezzo di corteccia di betulla che abbiamo in studio, tranne una sola lettera, vale a dire la “zemlya”. Tuttavia, questa lettera da sola non ha alcun ruolo decisivo; in primo luogo perché si riferisce a cifre unitarie e quindi non avrebbe potuto influenzare sostanzialmente la datazione, persino se fosse stata in qualche modo in relazione con esse; tuttavia, non si riferisce alla data principale. Nella fig. 3.42 è' chiaramente visibile che la lettera “zemlya” si trova a notevole distanza dalla data principale, e deve quindi indicare qualcos'altro. Come abbiamo già accennato, questa cifra sta per l'indizione del 1774, che infatti era pari a 7.

Passiamo ai primi tre numeri (fig. 3.42). Se rappresentassero il numero slavo ecclesiastico 6537, come sostengono gli autori di [290:1], questi numeri dovrebbero assomigliare alle lettere slave ecclesiastiche “zelo”, “fert” e “lyoudi”. C'è qualche possibilità di interpretare i caratteri del documento con quelle lettere? Vediamo.

La prima cosa da menzionare è che la prima lettera “zelo”, che sta per 6000, deve essere accompagnata da un segno speciale per trasformarla nella cifra delle migliaia: non c'è un segno del genere da nessuna parte, vedi la fig. 3.42.

Tuttavia, ci sono da fare delle osservazioni più importanti. Dopotutto, il segno avrebbe potuto essere omesso. In linea generale, la cifra 7 sulla corteccia di betulla può essere interpretata come la lettera slava ecclesiastica “zelo”. Consideriamo questa interpretazione forzata, poiché una sembra il riflesso speculare dell’altra, ma molti storici applicano comunque questo metodo alle datazioni in slavo ecclesiastico. Supponiamo tuttavia che Zaliznyak e Yanin abbiano interpretato correttamente la prima cifra.

Passiamo al numero più importante, il secondo. Perché lo consideriamo il più importante? La risposta è semplice. Rappresenta le centinaia e quindi determina la datazione approssimativa. Le altre cifre sono meno importanti; le migliaia sono abbastanza facili da indovinare, anche se alcune datazioni “antiche” contengono discrepanze millenarie, vedi Cronologia1 e Cronologia2. Per quanto riguarda le decadi e gli anni, non possono spostare la datazione oltre i 100 anni in entrambe le direzioni, e inoltre non influenzano più di tanto la datazione approssimativa.

Pertanto, il numero critico è quello delle centinaia. Vediamo come dovrebbe apparire nel caso improbabile che la dendrocronologia di “Novgorod” sia corretta e chiediamoci se qualcosa del genere può essere visto da qualche parte nel documento sulla corteccia di betulla (questo risulta essere impossibile). Come si vede dalla citazione sopra riportata, gli autori dell'articolo sono d'accordo.

Tenete presente che il documento è stato ritrovato nello strato datato il primo terzo dell'XI secolo con il metodo di V. L. Yanin ([290:1], pagina 202). Un semplice calcolo aritmetico dimostra che la cifra in questione deve indicare 500 o 400, per far corrispondere l'anno alla datazione suggerita da Yanin. Nel primo caso arriveremmo a 6500, ossia il 992 d.C. Le decadi e gli anni sposterebbero questa data nell'XI secolo d.C., poiché era quella “voluta”: qualsiasi numero andrebbe bene tranne il 90. Questo caso sarebbe ideale per la datazione finale dell'XI secolo.

Il secondo caso sarebbe molto peggiore. Se la seconda cifra risultasse essere 400, si otterrebbe l'anno 6400, ovvero l'892 d.C., senza anni né decenni (6400 – 5508 = 892). Questo è molto “peggio” del primo caso, poiché l’unico modo per collocare la data finale nell’XI secolo, sarebbe quello di applicare criteri molto rigidi alla cifra delle decadi: l’unico numero adatto sarebbe il 90, indicato dalla lettera slava ecclesiastica _ (nota come “cherv”). Ci vorrebbe uno sforzo notevole per far sì che qualsiasi cosa trovata sulla corteccia di betulla assomigli alla lettera in questione, per il semplice fatto che lì sopra non esiste nulla del genere, vedi la fig. 3.42.

Zaliznyak e Yanin insistono sul fatto che la prima ipotesi sia vera; tuttavia, non osano dichiarare apertamente che nel documento fosse presente il simbolo slavo ecclesiastico per 500, ovvero la lettera Ф (“fert”). Per quanto riguarda la suddetta presunzione espressa in [290:1], secondo cui i numeri sarebbero in slavo ecclesiastico, con la sola eccezione di quello più importante, che risultò per qualche motivo essere romano, il nostro commento è il seguente. Poiché la cifra in questione ha un carattere decisivo, l'ipotesi che essa appartenga ad un diverso sistema numerico rende del tutto invalida l'intera “interpretazione” di questa data. È perfettamente ovvio che qualunque simbolo possa ottenere una sorta di interpretazione numerica in qualche sistema straniero; non ovvio, forse, ma almeno ammissibile. Tenete presente che stiamo parlando di graffi su un pezzo di corteccia di betulla e non di una datazione scritta calligraficamente.

Potremmo chiederci se la seconda cifra (2) somiglia in qualcosa al numero romano D usato per 500 (vedi la figura 3.42)? A rigor di termini, non è così. Tuttavia, è possibile che venga fuori un'interpretazione un po' inverosimile e che abbia anche un certo senso; infatti, qui vediamo la cifra due, che veniva trascritta esattamente nello stesso modo della lettera russa Д da molti calligrafi del XVIII secolo. Proprio quest'ultima corrisponde alla D romana; le versioni scritte a mano di entrambe le lettere, potrebbero essere state simili.

Ma perché i due autori hanno interpretato diversamente la quarta cifra? È un numero identico al due; tuttavia, questa volta non lo hanno letto come la D romana, ossia 500, ma piuttosto come la slava ecclesiastica “lyoudi” (Л) con il valore numerico di 30. La lettera è stata sempre scritta nella sua maniera attuale, e il simbolo sulla corteccia di betulla è formato da molti più dettagli, vedi la fig. 3.42. Ma se si interpretassero i simboli nel modo in cui si vuole che siano interpretati, qualsiasi data potrebbe ricevere una “interpretazione” nota a priori.

Poniamoci quindi la seguente domanda puramente retorica: è possibile affermare che la datazione che dice esplicitamente 1774 d.C. si riferisce all'XI secolo? Noi non la pensiamo così: bisognerebbe almeno fare uno sforzo per convalidare un’affermazione del genere. Tuttavia, chiunque legga il lavoro di A. A. Zaliznyak e V. L. Yanin può testimoniare che ciò può essere fatto con grande facilità, qualora si presentasse una tale necessità. Abbiamo visto un eccellente esempio di quanto certi storici siano ansiosi di far sì che le datazioni trovate su antichi manufatti, dimostrino la cronologia di Scaligero, e quali sforzi colossali siano pronti a compiere a tal fine.

A proposito, la datazione del pezzo di corteccia di betulla dell'XI secolo, creò tuttavia un “problema” nella scienza storica:

“La scoperta aveva immediatamente portato a un problema. Il maniero “E”, dove è stato ritrovato, si trova sulla vecchia via Chernitsyna, il cui nome si traduce come “via delle monache” e prende il nome dal convento di Santa Barbara, che un tempo sorgeva nelle vicinanze. È ovvio che nella prima parte dell'XI secolo, qui non poteva esserci alcun convento: i primi monasteri russi risalgono alla seconda metà dell'XI secolo, e il convento di Santa Barbara di Novgorod era stato menzionato per la prima volta in una cronaca che si presume sia del 1138 d.C., che è posteriore alla nostra scoperta di oltre un secolo” ([290:1], pagina 202).

Apprendiamo che un tempo, nel luogo in cui fu ritrovato il pezzo di corteccia di betulla sorgeva il convento di Santa Barbara, e il disegno che troviamo sopra, raffigura nientemeno che Santa Barbara (vedi fig. 3.41). È evidente che il disegno doveva essere andato perso o sepolto quando ancora esisteva il convento. Doveva esistere anche nel 1774, quando furono fatte le iscrizioni sulla corteccia di betulla. Questo fa sì che tutto vada a posto.

Ci si potrebbe chiedere quale sia la datazione effettiva del 1774, nonché le ragioni per cui dovremmo trovare questa particolare cifra nel documento sulla corteccia di betulla, e perché dovrebbe essercene una in tutto, dal momento che nell'antica Russia non era affatto una consuetudine scrivere le date sotto le figure dei santi. Potrebbero esserci opinioni diverse su questo argomento, ma non si può non sottolineare che l'anno in questione fu l'anno della sconfitta finale di Pougachev, e che in tutta la Russia furono avviate delle dure persecuzioni contro i sostenitori dei “ribelli” ([941], pagina 52 ; anche [85], volume 35, pagina 280). Oggi stiamo solo cominciando a renderci conto della vera portata di questo evento, poiché sta diventando chiaro che la sconfitta di Pougachev non è avvenuta come il risultato di una mera “soppressione di una ribellione contadina”, come viene insegnato nelle scuole, ma piuttosto la sconfitta del gigantesco stato siberiano russo con capitale Tobolsk, che era ostile ai Romanov. Questo stato veniva conosciuto in Occidente come la “Tartaria Moscovita”, vedi il capitolo che tratta la nostra ricostruzione della “Guerra con Pougachev” (Cronologia4, Capitolo 12). Pertanto, il 1774 deve essere stato uno degli anni più importanti nella storia della Russia e del mondo in generale; segnò un punto di rottura che afflisse ogni strato della società russa. Questo potrebbe essere il motivo per cui vediamo la data sotto il disegno di Santa Barbara.

Concludiamo dicendo qualche parola sull'altro elemento discusso in [290:1]: il Libro dei Salmi di Novgorod su tre tavolette. Sfortunatamente, non troviamo nulla che possa indicare una datazione esplicita al riguardo (almeno non ne viene menzionata alcuna in [190:1]). Tuttavia, l'XI secolo d.C., la datazione di queste tavolette suggerita da [290:1], sembra basarsi su una mera fantasia. Il fatto che sia stato ritrovato nello strato datato al “primo quarto dell'XI secolo” da V. L. Yanin ([290:1], pagina 203), non significa assolutamente nulla, come abbiamo già osservato nel caso del documento in betulla che riportava la datazione 1774. Pertanto queste tavolette potrebbero benissimo essere oggetti del XVIII secolo. Tutte le singole parole che si trovano su di esse (come citato in [290:1], pagina 106) possono essere viste anche nei manoscritti risalenti al XVIII secolo (in particolare, quelli scritti dai vecchi credenti). Si può dire la stessa cosa dello stile di scrittura delle tavolette, rappresentato dalla fotografia pubblicata in [290:1], pagina 205: non ha caratteristiche che suggeriscano una datazione anteriore al XVIII secolo.

A proposito, il nome stesso di queste tavole è piuttosto curioso: erano conosciute come tabellae cerae, mentre lo strumento utilizzato per scrivere era chiamato stilo. “Gli stili erano delle piccole aste di metallo o di osso, utilizzate per scrivere sulla cera; tali strumenti... erano necessariamente dotati di una piccola cazzuola usata per cancellare” ([290:1], pagine 202-203).

Apprendiamo quindi che le “antiche” tavolette cerate greche e romane, usate per scrivere, erano chiamate cerae, dopodiché le lettere venivano scritte con degli stili. Non si può fare a meno di notare la somiglianza tra la parola greca “antica” cera e le parole russe per “graffiare” e “bozza” (rispettivamente tsarapat e chernovik). La cazzuola, che era un attributo sine qua non di ogni stilo, nell'odierna Russia potrebbe venire chiamata styorka; per quanto riguarda la flessione tra la R e la L, è sufficiente ricordare ai lettori come veniva scritta la parola Amsterdam nel Medioevo: Amsteldam, Amstelredam ecc... (vedi Cronologia 1, Capitolo 1 ecc.).

Riassunto: l'interpretazione della datazione della tavoletta di betulla proposta da Zaliznyak e Yanin (il presunto XI secolo) ci sembra profondamente errata. Sono fuori strada di circa settecento anni; l'argomentazione di cui sopra dimostra che la datazione in questione corrisponde al 1774, ovvero alla seconda metà del XVIII secolo.

 

 

12.7. La risposta degli storici riguardo il nostro articolo sulle datazioni di Novgorod di A. A. Zaliznyak e V. L. Yanin.

Nel febbraio 2002 abbiamo pubblicato, sulla “Vestnik Rossiyskoi Akademii Nauk”, un articolo intitolato “Sulle Datazioni di Novgorod di A. A. Zaliznyak e V. L. Yanin”. Si occupava dell'interpretazione della datazione sulla tavoletta di betulla scoperta di recente a Novgorod sul Volchov ([912:2]). Ne abbiamo discusso in precedenza nei dettagli.

Nello stesso numero di “Vestnik”, si trova il commento dell'articolo scritto dai collaboratori dell'Istituto di Archeologia RAS, pubblicato su insistenza della redazione. Vale a dire, i redattori hanno ordinato e pubblicato i seguenti due articoli: “La Scala Dendrocronologica di Novgorod è la Scala Più Affidabile del Mondo Antico” di R. M. Mounchayev e Y. N. Chyornykh ([912:2], pagine 141-142) e “Paleografia Imbarazzante” di A. A. Medyntseva ([912:2], pagine 143-146) . Secondo il commento editoriale, contengono una “valutazione perfettamente obiettiva dell'articolo dal punto di vista editoriale”, che presumibilmente “esaurisce completamente l'argomento ivi correlato” ([912:2], pagina 146). Tuttavia, la nostra domanda agli storici rimane senza risposta: qual è la data scritta sulla corteccia di betulla? La valutazione negativa del nostro lavoro, riportata negli articoli sopra citati, è completamente infondata; i loro autori non hanno fatto nulla per analizzare il problema. Tuttavia, anche questa trinità non ha avuto la disinvoltura di confermare “l’interpretazione” della data dell'XI secolo suggerita da Zaliznyak e Yanin; la questione della datazione corretta è immersa nel silenzio più assoluto.

Vi offriamo un breve resoconto del contenuto degli articoli. R. M. Mounchayev e Y. N. Chyornykh, gli autori dell'articolo pretenziosamente intitolato “La Scala Dendrocronologica di Novgorod è la Scala Più Affidabile del Mondo Antico” ([912:2], pagine 141-142), tentano di riflettere a lungo sull'argomento generale dei “ricercatori erranti della cronologia”, uscendosene con delle sciocchezze come l’effettiva analisi delle datazioni scarabocchiate sulle tavolette di betulla sono fuori dall’ambito della loro venerabile attenzione accademica. Cominciano nel modo seguente: “L'articolo di A. T. Fomenko e G. V. Nosovskiy sembra riguardare un caso particolare; tuttavia, è prudente e perfino obbligatorio, vederlo in un contesto più generale…” Continuano sempre con dei contesti generali. Mounchayev e Chyornykh, ad esempio, sono dell’opinione che prima di osare interpretare una datazione trovata su una tavoletta di betulla, dovremmo “convincere gli specialisti… che tutte le scale dendrocronologiche dell’Europa orientale devono la loro esistenza a una cospirazione di cosiddetti specialisti, o alla loro totale ignoranza” ([912:2], pagina 142). Altrimenti, “la discussione stessa (o anche solo una sua parvenza) riguardante la questione delle reliquie medievali e la loro antichità, diventa completamente priva di significato” ([912:2], pagina 142). Riguardo a questo caso, tutti i commenti sono davvero piuttosto estranei.

Citiamo l'unica obiezione che Mounchayev e Chyornykh potrebbero, in qualche modo, aver fatto alla questione in discussione: “L’approccio di A. T. Fomenko e G.V. Nosovskiy allo studio delle tavolette di betulla può essere classificato come scolastico… Tali “metodi” sono stati rifiutati da molto tempo dalla scienza accademica. Riteniamo inutile continuare con la discussione di questo argomento”. In altre parole, l'articolo ci dice che la scienza storica ha un sistema consolidato di tabù che riguardano determinati approcci alla soluzione dei problemi storici e cronologici. L’etichetta “scolastica” in realtà non spiega nulla, essendo solo la volontà di proteggere l’erronea cronologia di Scaligero e Petavio dalle critiche e dai tentativi di revisione.

Passiamo ora alla “Paleografia Imbarazzante” di A. A. Medyntseva ([912:2], pagine 143-146). L'autrice tenta di confutare la nostra interpretazione della datazione sulla corteccia di betulla; tuttavia, per qualche strano motivo, discute solo della prima cifra del quattro (la cifra delle migliaia), senza dire nulla sulle unità delle centinaia, che per noi è di grande interesse e risulta decisiva per la datazione. Potrebbe darsi che “l'interpretazione” dell'XI secolo delle rimanenti tre cifre suggerita da Zaliznyak e Yanin, totalmente ed evidentemente appesa a un filo.

Per quanto riguarda la prima cifra, la Medyntseva dice di preferire l'interpretazione di Yanin e Zaliznyak, che suggeriscono che stia per la lettera slava ecclesiastica “zelo”. Riporta una tabella con le diverse versioni di numerose lettere dello slavo ecclesiastico (vedere la fig. 1 nel suo articolo). È sorprendente che proprio la lettera di cui parla (“zelo”) sia del tutto assente dalla tabella. La ragione è ovvia: la lettera slava ecclesiastica “zelo” non assomiglia per niente al numero arabo che dovrebbe rappresentare (la cifra sette). A quanto pare, questa lettera è stata esclusa dalla tabella per evitare “imbarazzi” in rapporto ai fatti.

Sottolineiamo che, nonostante l’evidente desiderio di “difendere” l’interpretazione di Yanin e Zaliznyak, la Medyntseva non ha la fiducia necessaria per affermare che quanto sopra è corretto. Riuscì solo ad essere d'accordo con il modo in cui avevano letto la prima cifra, senza chiedere prove e rimanendo con tatto taciturna riguardo alle altre tre.

 

 

13. Ipotesi sull’etimologia della parola Russia (“Rouss”).

È un fatto noto che l'Impero Mongolo fosse diviso in un numero di province, i cosiddetti ulus. Tenendo a mente la frequente flessione della R con la L, si potrebbe suggerire che le parole Ulus e Rouss, ossia Russia, abbiano la stessa origine (cfr. anche il nome dei famosi principi Urusov). Vediamo che c’è un esplicito parallelo fonetico. Tuttavia, in quest’ultimo caso ci si potrebbe chiedere: il nome stesso Russia potrebbe derivare dalla parola “rus” (ovvero “ulus” nella sua versione turca), che veniva usata per indicare una provincia dell'Impero Mongolo = Grande?


Figure 3.48.
Una delle leggi contenute nella Sobornoye Ulozhenie del 1649. Vediamo la parola “russo” usata in riferimento a una confessione piuttosto che a un gruppo etnico: qui è sinonimo di “ortodosso”. Edizione fotografata del XVII secolo.

Una cosa simile è accaduta al nome “Ucraina”. Questa parola significava “terre di confine” (cfr. la parola russa moderna “okraina” che si traduce come “dintorni”). C'erano molti territori conosciuti come “ucraina”; tuttavia, alla fine il nome fu associato a un'unica regione, vale a dire l'odierna Ucraina. La stessa cosa sarebbe potuta accadere alla parola Russia; potrebbe aver significato inizialmente una provincia, per poi diventare il nome dell'intero paese. In questo caso, ad un certo punto la parola “russo” deve aver significato “rappresentante di una certa provincia imperiale”, e in seguito divenne il nome di un gruppo etnico.

Studiamo la Sobornoye Ulozhenie del 1649, una raccolta di leggi russe del XVII secolo, ovvero l'epoca dei primi Romanov. Vedremo che anche nei documenti ufficiali del XVIII secolo (e la fonte in questione è un documento quanto mai ufficiale) usavano la parola “russo” per riferirsi ad una confessione e non ad una nazionalità. Riportiamo una fotografia di una di queste leggi nella fig. 3.48. La legge inizia con le parole: “Sia che la persona è Russa o appartiene a una fede diversa”, che si spiegano abbastanza da sole.