Сronologia 4

testo tradotto in italiano da Claudio dell'Orda

This Italian translation of the fragments of the 4-st volume by Anatoly Fomenko was done by Claudio dell'Orda from the English edition: 
A. T. Fomenko, T. N. Fomenko, V. V. Kalashnikov, G. V. Nosovskiy
History: " Fiction or Science?"
THE CHRONOLOGY OF RUSSIAN HISTORY.
NEW CHRONOLOGY AND CONCEPTION OF BRITISH HISTORY. ENGLAND AND RUSSIA (OR THE HORDE).
THE CHRONOLOGY AND GENERAL CONCEPTION OF ROMAN AND BYZANTINE HISTORY

Capitolo 12:
La guerra combattuta tra i Romanov e Pougachev nel 1773-1775, è l’ultima guerra combattuta contro l’Orda.
La divisione dei territori rimasti tra i Romanov e i nascenti Stati Uniti d’America.

 

3. Il viaggio intrapreso da Pushkin nel 1833, nella regione degli Urali, con l’obiettivo di raccogliere più informazioni sulla biografia di Pougachev. La ragione per cui i soldati di Pougachev dicevano che il loro quartier generale era a Mosca.

 

Abbiamo già espresso la nostra idea che il nome “Pougachev” sia uno pseudonimo e non un vero nome; si traduce come “spavento”, “terrore” ecc. Questo alias fu inventato dagli storici romanoviani in sostituzione del vero nome che era appartenuto all'ultimo zar, o khan, della Tartaria moscovita, o al suo comandante militare in capo. Il nome di questo personaggio storico è stato cancellato per sempre dalla storia russa. L'ultimo signore della guerra dell'Orda è stato chiamato “Il Terrore” dall'amministrazione dei Romanov a metà del XVIII secolo; deve aver davvero terrorizzato la dinastia dei Romanov con il suo tentativo di ricongiungere le ex terre occidentali dell'Orda con la parte orientale, l'immensa Tartaria moscovita. L'idea che “Pougachev” fosse un semplice alias (“Pougach”, vedi sopra) è confermata da alcuni dei vecchi documenti: ad esempio, è espressa da V. I. Dahl, amico e contemporaneo di A. S. Pushkin ([710], Volume 2, pagine 222-223). Dobbiamo sottolineare che all'epoca Dahl ricopriva il grado di “dirigente per i casi speciali del Governatore Generale di Orenburg” ([710], Volume 2, pagina 452).

Dahl aveva assistito Pushkin nei tentativi di quest'ultimo di raccogliere tutte le informazioni rimaste in quelle parti, dall'epoca della "guerra contro Pougachev" ([720], Volume 2, pagine 223-224 e 452). Le prove presentate sopra fanno sì che alcuni commentatori moderni utilizzino lo pseudonimo “Pougach” invece di “Pougachev” (vedere [710], Volume 2, pagina 453, commento 1, per esempio).

Come abbiamo già sottolineato, dopo aver schiacciato la Tartaria moscovita nella violenta “Guerra contro Pougachev”, i Romanov fecero di tutto per far sembrare questa guerra nient’altro che una rivolta su larga scala dei “contadini” guidati da un certo “Pougach”, un anonimo cosacco del Don. Gli storici romanoviani identificano l'unico quartier generale di “Pougach” come il “villaggio di Berdy” nella regione degli Urali ([710], Volume 2, pagina 452). Non è affatto così: come stiamo cominciando a capire, gli storici romanoviani stavano facendo del loro meglio per far sembrare la guerra del 1773-1775 il più insignificante possibile, dandole un’interpretazione completamente diversa. Ciò ha comportato il trasferimento della vera capitale del khan russo in un villaggio nella regione degli Urali, evento eseguito in modo tendenzioso. Questo villaggio doveva essere uno dei numerosi quartier generali dell'Orda. Il nome B-Erdy potrebbe essere un vecchio nome risalente all'epoca dell'Orda (molti di questi esistevano ancora nella regione degli Urali e in Siberia, così come nella parte europea della Russia). Il nome Berdy potrebbe essere un ricordo della B-Orda, o “Orda Bianca”, uno stato grande e potente dei tempi passati. Si presume che all’epoca di Pougachev il villaggio di Berdy fosse “alla distanza di sette verste da Orenburg. Oggi il suo antico sito fa parte della città. Durante l'assedio di Orenburg, il villaggio era stato il quartier generale della ribellione; i soldati di Pougachev lo chiamavano Mosca [sic! – Aut.]” ([711], pagina 304).

L'ultima prova è molto degna di nota, e può essere interpretata in vari modi. Il fatto che i soldati di Pougachev avessero chiamato Mosca uno dei loro accampamenti militari (noto anche come Berdy, o B-Orda) è in buona corrispondenza con la nostra ricostruzione, secondo la quale il personaggio storico noto come “Pougach”, o “Pougachev”, era stato il comandante militare in capo dell'enorme nazione le cui terre si estendevano dalla Siberia al nord-ovest americano, conosciuta come Tartaria moscovita. In precedenza, abbiamo discusso le prove sopravvissute dell'esistenza di questo stato. Secondo l'edizione del 1771 dell'Enciclopedia Britannica, la capitale della Tartaria moscovita era nella città siberiana di Tobolsk ([1118], Volume 2, pagine 682-684). Ribadiamo che San Pietroburgo è stata la capitale della Russia europea, il cui trono fu usurpato dai Romanov, fin dai tempi di Pietro il Grande. Il nome stesso di Tartaria moscovita, così come il fatto che l’esercito di Pougachev si riferisse al quartier generale vicino a Orenburg come Mosca, indica che l’Orda siberiana e americana ricordava ancora il fatto che la capitale della Russia un tempo era Mosca. Stiamo cominciando a renderci conto che l’esercito di “Pougach”, o “Pougachev”, aveva cercato di ripristinare gli ex confini dell’Orda e di restituire la sua capitale a Mosca.

Quando Pushkin arrivò negli Urali nel 1833, 58 anni dopo la fine della “Guerra contro Pougachev” nel 1775, tutte le prove storiche che riuscì a trovare erano state palesemente fuorvianti e introdotte dalla laboriosa amministrazione romanoviana, nel corso dei molti decenni trascorsi dalla fine della guerra. Dahl portò Pushkin nel luogo che chiama “il famoso villaggio di Berdy, il quartier generale di Pougachev” ([710], Volume 2, pagina 453). Pushkin e Dahl erano entrambi convinti che gli eventi della “rivolta contadina” si concentrassero nella regione degli Urali meridionali. Gli storici romanoviani avevano cercato di far sembrare la guerra il più insignificante possibile: la cavalleria baschira. presumibilmente disorganizzata (anche se mortale) di Salavat Youlayev, piccole scaramucce (anche se violente) e così via, niente di serio, in altre parole.

Pushkin aveva conversato con alcune donne anziane del “villaggio Berdy”, che gli avevano parlato di “Pougach”, o “Pougachev” ([710], Volume 2, pagina 222). Al giorno d'oggi è difficile stimare la percentuale di verità in quello che gli hanno detto, in contrasto con le leggende inventate dall'amministrazione romanoviana. Sembra che i cosacchi locali ricordassero ancora alcuni fatti storici reali, per quanto vaghi. Parlarono a Pushkin delle “cupole dorate di Pougach” ([710], Volume 2, pagina 222). Questa leggenda potrebbe essere un lontano ricordo delle cupole dorate sopra il palazzo del khan, ossia dello zar della Tartaria moscovita, forse a Tobolsk, l'antica capitale di questa terra gigantesca (vedi [1118], volume 2, pagine 682-684). A proposito, le vecchie mappe della Siberia contengono spesso riferimenti ad alcune leggendarie “Maid of Gold”. D'altronde è possibile che il condottiero della Tartaria moscovita siberiana e americana fosse realmente accompagnato da un grande e lussuoso entourage; la sua visita nella regione degli Urali potrebbe essere stata accompagnata dalla costruzione di una splendida dimora temporanea del comandante militare (o dello zar/khan stesso), ad esempio nel villaggio cosacco di Berdy. Questa residenza temporanea dello zar si rifletteva nelle leggende giunte a Pushkin, come vaghi racconti di “cupole dorate”.

Più tardi, quando l’amministrazione dei Romanov iniziò la trasformazione dello Zar dell’Orda (Khan) o comandante militare, in un “impostore” e “Pougach, lo spietato selvaggio”, i leggendari ricordi delle sue “cupole d’oro” cominciarono a suonare strani. Gli storici stessi crearono una palese dissonanza nella nuovissima versione della storia che stavano seminando. L’amministrazione dovette affermare con autorevolezza che nessuna “cupola d’oro” era mai esistita e che i padri e i nonni del popolo, dei semplici cosacchi, avevano scambiato l’ottone lucido per l’oro. Dahl ci racconta quanto segue nel suo resoconto della “conversazione con le vecchie di Berdy, che ricordavano le 'cupole dorate' di Pougach"; si affretta a spiegarci che le vecchie “si riferivano ad una semplice casa di legno ricoperta di lamiere in ottone lucido” ([710], Volume 2, pagina 222). Bisogna pensare che Dahl ripeta la versione distorta dell'amministrazione romanoviana, che ha sentito dalla gente del posto. Dahl continua a raccontarci quanto segue, nel resoconto del viaggio negli Urali meridionali che fece insieme a Pushkin: “Abbiamo trovato una vecchia che aveva conosciuto, visto e ricordato il Pougach. Puskin aveva conversato con lei tutta la mattinata; gli fu mostrata l'ubicazione della casa di legno trasformata in un palazzo dorato [? – Aut.]” ([710], Volume 2, pagina 223).

Gli alloggi dorati dello zar, o khan dell'Orda, furono dichiarati dagli amministratori romanoviani una semplice casa contadina di legno, ricoperta di “lastre di ottone lucido”. Gli storici moderni ci dicono quanto segue: “Il 'palazzo' di Pougachev...  era ancora lì nel 1833. Una semplice casa di legno, decorata con una lamina d'oro dall'interno, da qui il riferimento alle 'cupole dorate'” ([711], pagina 304). Alcuni storici fanno osservazioni ponderate sull'ottone lucido, mentre gli altri discutono sulla lamina d'oro. Entrambi i gruppi probabilmente sono molto lontani dalla verità. Si ha l'impressione che subito dopo la sconfitta di “Pougach” o “Pougachev”, sia stata creata una grande quantità di racconti e aneddoti speciali, con l'obiettivo di annegare la verità in una moltitudine di leggende assurde. Alcuni di esse potrebbero aver riflesso eventi reali, anche se semi-cancellati dalla memoria umana.

Secondo Dahl, “Pushkin ascoltò tutto quanto sopra con molto fervore, se mi perdonate l'incapacità di esprimerlo in modo più eloquente. Rise forte sentendo il seguente aneddoto: Pougach fece irruzione nel villaggio di Berdy... ed entrò in chiesa. La gente si fece da parte terrorizzata, inchinandosi e cadendo ai suoi piedi. Pougach assunse un'aria dignitosa, si diresse verso l'altare, vi si sedette, dicendo: “È passato molto tempo dall'ultima volta che mi sono seduto su un trono”, incapace di distinguere, nella sua contadina ignoranza, la differenza tra un trono e l'altare della chiesa. Pushkin lo aveva definito un maiale e aveva riso a lungo..." ([710], Volume 2, pagina 223). L'aneddoto in questione potrebbe essere un riflesso distorto di eventi reali. Dopotutto, lo zar, o khan, dell'Orda, era stato sia il sovrano temporale che quello ecclesiastico, il cui trono aveva simboleggiato contemporaneamente i poteri dello Stato e della Chiesa (vedere Cronologia6 per maggiori dettagli).

Bisogna sottolineare che il ricordo di “Pougach”, o “Pougachev”, essendo un vero zar (per lo meno un plenipotenziario reale) e non un impostore di alcun tipo, era ancora vivo all'epoca di Pushkin. La nostra ricostruzione suggerisce che questo ricordo riflettesse la realtà. Questo è ciò che racconta Dahl nel racconto del viaggio nei dintorni di Orenburg, che fece insieme all'erede. In questo caso racconta una conversazione tra lui e una vecchia cosacca: «La vecchia apparecchiava la tavola in un modo davvero molto accogliente. Le ho chiesto se era contenta di vedere l'ospite reale; lei disse: “Ma certo!" Non abbiamo visto... alcun sangue reale qui da quando lo zar Pjotr Fyodorovich stesso...' cioè, Pougachev” ([710], Volume 2, pagina 229).

Una volta c’era il “Bosco dei Khan” vicino alla città di Uralsk, ex Yaik, “proprio accanto alle miniere di carbone; il nome esiste ancora ai giorni nostri. È associato ad un'antica usanza dei signori della guerra cosacchi, che avevano conversato con i khan kazaki [ossia cosacchi - Aut.] in questo particolare boschetto... un'altra leggenda narra... che il boschetto fosse stato il luogo in cui si svolgevano i rituali di inaugurazione tenuti per il Khan dell'Orda Interna, Boukey Khan, e suo figlio Djangir... Pushkin ha visto il boschetto e il suo nome, in un modo o nell'altro, gli è stato spiegato dalle guide” ([711], pagina 310).

Segnaliamo un altro dettaglio che riteniamo degno di nota. Gli storici riferiscono che l'imprigionamento di Pougachev fu “seguito da un processo che ebbe luogo nella Sala del Trono del Palazzo del Cremlino il 30-31 dicembre [1774 - Aut.]” ([563], pagina 66). Ci chiediamo se nella Sala del Trono del Cremlino si stava processando un impostore e un “semplice cosacco”? I requisiti di rango non sono soddisfatti. Tuttavia, se fosse stata la stessa Tartaria moscovita a essere condannata come Pougach, o Pougachev, la cui identità in questo caso perde importanza, allora la scelta simbolica della Sala del Trono moscovita diventa ovvia e necessaria, in un certo senso per svolgere una celebrazione appropriata ed esaltata della vittoria. I Romanov stavano festeggiando la sconfitta dell'Antica Russia, ovvero dell'Orda, nell'antica capitale di quest'ultima!

La dinastia dei Romanov aveva cercato di cancellare moltissimi nomi che conservavano la memoria di Pougachev. Come accennato in precedenza, il fiume Yaik divenne noto come Ural e da allora i cosacchi Yaik sono conosciuti come cosacchi degli Urali. L'esercito cosacco del Volga era stato completamente sciolto. Alla fine, anche l'Esercito di Zaporiggia fu liquidato ([561], pagina 172). Secondo un editto del Senato ([711], pagina 307), la città di Yaik fu ribattezzata Uralsk “per far affogare il ricordo di questi eventi nella perdizione eterna e nella profonda taciturnità”.

La posizione di Pushkin, nella sua relazione sulla guerra di Pougachev, non è chiara. Il suo viaggio nella regione degli Urali aveva avuto un carattere ufficiale; era stato accompagnato da Dahl, un funzionario governativo (vedere [710], volume 2, pagina 452). Puskin potrebbe essere stato inviato dai Romanov, nella parte degli Urali associata a Pougachev, per rendere la “versione corretta” un ricordo più plausibile? Dopotutto era già stato un poeta famoso e la gente gli credeva. Il fatto che abbia pubblicato la sua interpretazione di questa guerra, presentando gli eventi in questo modo particolare, significa che aveva (volontariamente o inavvertitamente) rispettato gli ordini dei Romanov. D’altra parte, il vivo interesse di Pushkin per la biografia di “Pougach”, o “Pougachev”, potrebbe essere stata di natura completamente diversa. Secondo la versione romanoviana della storia, Pougachev “l'impostore” si era presentato come lo zar Pietro III Fyodorovich. Tenete presente che si dice che Pietro III, il marito di Caterina la Grande, sia stato assassinato per suo ordine nel 1762 ([563], pagina 20). A quanto pare, Lev Aleksandrovich Pushkin, il nonno paterno di A. S. Pushkin, era tra coloro che erano rimasti fedeli a Pietro. A. S. Mylnikov riporta quanto segue: “L. A. Pushkin, tenente colonnello dell'artiglieria, aveva esortato i soldati a rimanere fedeli al loro giuramento invece di ascoltare gli ammutinati... Molti di loro... furono arrestati; lo stesso L.A. Pushkin fu punito severamente... e incarcerato in una torre. Non servì mai più Caterina dopo il suo rilascio e morì nel 1790. È curioso che proprio questo personaggio sia il nonno paterno di A. S. Pushkin, che lo menziona con piuttosto affetto nella sua autobiografia: “Lev Aleksandrovich era stato un artigliere; rimase fedele a Pietro III nella rivoluzione di palazzo del 1762. Ciò aveva portato alla sua incarcerazione; fu rilasciato due anni dopo” ([563], pagina 22).

Pertanto, il viaggio di Pushkin nella regione degli Urali nel 1833, potrebbe avergli dato l’opportunità di studiare la storia dell’imperatore Pietro III, il signore di suo nonno, che era stato punito per la sua lealtà verso questo monarca. Pushkin potrebbe aver avuto un interesse tutto suo, nel far luce sull'oscurità degli eventi che avevano preceduto la sua epoca di circa 60 o 70 anni. Anche se Pushkin avesse effettivamente rispettato un ordine dato dai Romanov, potrebbe aver sfruttato questa opportunità unica per intravedere l’epoca di Pougachev, così come era stata nella realtà. Dopotutto, la sua posizione di storico imperiale ufficiale potrebbe avergli aperto molte porte segrete.

Eppure, difficilmente sapremo mai se a Pushkin fosse stato permesso o meno di includere nel suo libro tutto il materiale che trovò nel corso del viaggio. Non sappiamo nemmeno nulla della parte dei dati che potrebbe “offendere i Romanov”. Come ci rendiamo conto oggi, Pushkin ebbe l'opportunità unica di apprendere la verità sulla gigantesca Tartaria moscovita, lo stato che si estendeva sulla Siberia e su metà del Nord America, e fu cancellato dalla memoria umana per ordine dei Romanov. Il Senato aveva già dato il suddetto ordine di “dimenticare tutto e tacere” ([711], pagina 307). La posizione dei contemporanei di Pushkin diventa facile da comprendere: scavare nei “posti sbagliati” potrebbe essere interpretato come un atto contrario alla volontà del Senato. L’amministrazione romanoviana in Siberia e nella regione degli Urali, era stata veemente e molto coerente nel rispettare l’ordine del Senato. Dopo la sconfitta dell’esercito di “Pougachev”, un’ondata di repressioni di massa si abbatté sui territori annessi ai Romanov. La loro portata fu così formidabile, che i locali sopravvissuti e i loro discendenti si affrettarono ad apprendere la versione “corretta” abbastanza bene da renderla l’unica.

Si deve presumere che, alla fine, la popolazione locale fu costretta a “imparare a memoria” la versione della guerra di Pougachev dei Romanov. Da allora, tutte le spedizioni scientifiche per raccogliere il folclore locale, molto probabilmente si sono imbattute, principalmente, nelle rivisitazioni dei libri di storia dei Romanov, memorizzate nelle bocche dei residenti locali. Del dipinto originale del XVIII secolo rimane poco.

Vale anche la pena prestare attenzione alla seguente circostanza. A partire dal 1826, si ritiene che tra Pushkin e l'imperatore Nicola I, sia stato concluso un certo accordo sulla censura. Come scrivere i commentatori moderni, “si trattava di un accordo di non pronunciarsi contro il governo, per il quale a Pushkin furono concessi la libertà e il diritto di pubblicare sotto la censura personale di Nicola I” [710], vol. 1, pag. 15. I ricordi dei contemporanei della conversazione tra Nicola I e Pushkin, sulla censura personale dell'imperatore, sono stati conservati. È noto quanto segue: “Parte della conversazione che riguarda la censura, è stata conservata nella memoria di A.O. Rosset: Nikolai, dopo aver chiesto a Pushkin cosa stesse scrivendo adesso, ricevette la risposta: “Quasi nulla, Maestà, la censura è molto severa”. “Bene, io stesso sarò il tuo censore, ha detto il signore. Mandami tutto quello che scrivi” (Y.K. Grot, p.288)” - [710], volume 1, p.462.

Tutto ciò avvenne l’8 settembre 1826, cioè prima del viaggio di Pushkin negli Urali [710], vol. 1, pag. 461. Quindi, molto probabilmente, la “Storia di Pougachev” di Pushkin fu severamente censurata dallo stesso zar, ossia dagli storici dei Romanov per loro conto. Presumibilmente, il testo di Pushkin fu pienamente conforme alla versione dei Romanov della guerra di Pougachev.

A quanto pare, i documenti originali di Pougachev non sono sopravvissuti. Oggi ci vengono mostrati il “sigillo di Pougachev” e il “decreto di Pougachev”, vedi Fig. 11.62 e Fig. 11.63. Ma è quasi impossibile vedere nella fotografia qualche iscrizione sul sigillo di Pougachev, e il "decreto di Pougachev" in realtà non è l'originale, ma solo una copia. Gli stessi storici pubblicato questo: “Decreto di Pougachev. Copia. Frammento” [550], p.171. Il decreto originale è sopravvissuto? Molto probabilmente no. La “copia” che ci viene offerta oggi è probabilmente un'edizione tendenziosa di un decreto originario. Uno scriba potrebbe aver riscritto il decreto, adattandolo alle esigenze dell'amministrazione Romanov. In alto a sinistra c'è un goffo disegno di quello che sembra il sigillo di Pougachev. Ma il disegno è chiaramente convenzionale e realizzato francamente con noncuranza. Raffigura qualcosa di simile ad una sagoma che indossa un elmo, con cresta e visiera (?).


Figura 12.62.
Il "Sigillo di Pougachev". Tratto da [550], p.171.

Figura 12.63.
Il "Decreto di Pougachev". Copia.
Frammento [550], p.171. La domanda è:
dov’è il decreto originale? Distrutto?

Nella Figura 11.64 viene mostrata un'antica incisione del XVIII secolo dal titolo: “L'esecuzione di Pougachev”. Viene raffigurata l'esecuzione di massa dei cosacchi. La Figura 11.64a mostra un ritratto di Pougachev, ideale del 1774-1775, con l'iscrizione assertiva “Immagine autentica del ribelle e impostore Yemelyan Pougachev”.

In conclusione, presentiamo la fotografia di una tavola, collocata nel museo di storia locale della città di Khabarovsk, sotto una vecchia mappa del Libro dei Disegni della Siberia di S.U. Remezov, Fig. 11.65. La foto ci è stata gentilmente fornita da G.A. Krustalev.

Semyon Ulyanovich Remezov è un cartografo e storico russo del XVII secolo. Il suo atlante geografico di 23 mappe, il Libro dei Disegni della Siberia, risale al 1699-1701 [797], p.1114. La targa del museo sulla mappa di Remezov, Fig. 11.65, dice che: “alla foce dell'Amur c'è la designazione di una città con torri e campane, così come la didascalia: “Lo Zar Alessandro il Grande è venuto fino in questo posto, ha nascosto la pistola e ha lasciato la campana”. Per “pistola”, molto probabilmente, intendevano le armi in generale.

Poi siamo riusciti a trovare questa mappa dello stesso Remezov in un'eccellente edizione di un facsimile del suo Atlante. Ecco come appare l'iscrizione indicata sulla mappa, vedi Fig. 11.65a, e Figura 11.65b.


Figura 12.64.
Incisione del XVIII secolo che mostra l'esecuzione di "Pougachev".
Disegnata in pieno accordo con la versione dei Romanov
. Tratta da [550], p.171.

Figura 12.64a.
Ritratto di Pougachev. Artista sconosciuto.
Presumibilmente 1774-1775.
Museo di Rostov la Grande, 1911.

Figura 12.65.
La targa collocata nel museo di storia locale della città di Khabarovsk, sotto una vecchia mappa del “Libro dei Disegni della Siberia” di S.U. Remezov. Leggete l'iscrizione! La foto è stata scattata nel 1999 da G.A. Krustalev.



Figura 12.65a.
Frammento dell'Atlante di Remezov con un'iscrizione su Alessandro Magno. Da notare che nel volume commento questo foglio è denominato 21°, sebbene nell'Atlante stesso sia numerato 23 nella numerazione originaria.
Tratto da [724:2], volume 1, pagina 23 (21).



Figura 12.65b.
L'iscrizione sulla mappa di Remezov vicino alla Cina:
"Lo zar Alessandro Magno venne in questo luogo,
nascose la pistola e lasciò la campana [alle] persone".
Tratta da [724:2], volume 1, foglio 23(21),
commento 65 nel volume 2, p.151.

Da un punto di vista moderno, questa vecchia iscrizione sembra selvaggia. Non c'è altro modo per dirlo. Dopotutto, la campagna “dell'antico” Alessandro Magno alla foce della lontana taiga dell'Amur è fuori discussione nella storia di Scaligero. Soprattutto, con pistole e campane. Uno storico moderno direbbe con condiscendenza: cosa dice l'ignorante Remezov? Non conosceva la storia corretta. È vero, in qualche modo è riuscito a compilare un meraviglioso atlante della Siberia. Ma allo stesso tempo “fantasticava in modo errato”. Non bisogna prendere sul serio le sue “fantasie storiche”.

Tuttavia, nella nostra ricostruzione le informazioni di Remezov sono abbastanza significative e plausibili, in quanto lo zar Alessandro Magno (in parte Solimano il Magnifico) visse nel XV-XVI secolo, durante l'era della grande conquista ottomana = atamana, le cui ondate raggiunsero l'Estremo Oriente e si spinsero anche verso la Cina e il Giappone. Di conseguenza, in Giappone apparvero i Samurai = Samaritani. Vedi Cronologia 6.

Per quanto riguarda la mappa di Remezov, notiamo una circostanza interessante. Questa mappa (basata, forse, su qualche precedente mappa “mongola”) era appesa al muro del Palazzo Ekatering di San Pietroburgo. Questo è ciò che riporta lo storico del XIX secolo M.I. Pylyaev. “Sulla scala che porta al piano inferiore, alla parete, al posto della carta da parati, è appesantita una grande mappa su tela della Russia asiatica. La mappa è stata disegnata per uno scherzo: nei libri di testo non ci sono fiumi con nomi come questi; sulla mappa, anche i paesi del mondo hanno cambiato posto: in alto ci sono il mare indiano e quello sabbioso, in basso il mare del nord e il mare Artico, Akian (sic!), a ovest la Kamchatka e il regno di Gilyan sulle rive del fiume Amur, con un'iscrizione curiosa: “Alessandro Magno è arrivato in questo luogo, ho nascosto la pistola e ha lasciato la campana.” Secondo la leggenda, Pietro utilizzò questa mappa per esaminare, tanto per ridere, coloro che avevano una conoscenza incerta della geografia” [711:1], p.82.

Per cui, al tempo di Pietro, la mappa, che conservava tracce dell'antica geografia e dei nomi della parte asiatica del Grande Impero Mongolo, era ancora nel palazzo. Tuttavia, essendo già stati educati alla “nuova” storia di Scaligero e Miller, Pietro e i suoi cortigiani trattarono la mappa solo come una curiosità. Lo storico del XIX secolo M.I. Pylyaev, ci scherza sopra esattamente allo stesso modo, senza sospettare che, molto probabilmente, questa mappa corrisponde meglio alla realtà, rispetto alla geografia scaligeriana introdotta nella mente non molto tempo fa. Oggi, la mappa di Remezov Il Disegno di tutta la Siberia” è talvolta esposta nella Galleria Petrovskaya dell’Ermitage di Stato di San Pietroburgo [679], p.24.

 

 

4. Le numerose cittadine degli Urali, presumibilmente fondate nell'età del bronzo (Arkaim è la più famosa), sono delle probabili reliquie della Tartaria moscovita, ovvero lo stato che esisteva in Siberia e in America nel XV-XVIII secolo d.C.

 

Relativamente di recente, negli Urali meridionali sono stati scoperti parecchi antichi insediamenti, tra i quali Arkaim è diventato il più famoso, vedi Fig. 11.66, Figura 11.67, Figura 11.68 e Figura 11.69. Gli archeologi pubblicati: “Al tempo degli scavi ad Arkaim, erano ben conservati due anelli di strutture difensive inscritti l'uno nell'altro, due cerchi di abitazioni, uno esterno ed uno interno, e una piazza centrale. Il muro di cinta aveva un diametro di circa 150 m ed una larghezza alla base di 4-5 m. È costituito da gabbie di tronchi di circa 3x4 m, intasate o, per meglio dire, riempite di terra con aggiunta di calce. La gabbia era rivestita esternamente con blocchi di pisè, che venivano posati dal fondo del fossato fino a tutta l'altezza del muro (profondità del fossato 1,5-2,5 m, altezza del muro di terra… secondo i calcoli preliminari almeno 3,5 m)” [33], pag. 24. “Il muro della cerchia interna... aveva un diametro di 84 m ed uno spessore di 3-4 m. È meno massiccio rispetto al muro esterno, ma è possibile che lo superasse in altezza” [33], pag. 26.

Gli storici chiamavano proto-città, questi insediamenti negli Urali [33], p.9 e li fecero risalire all'età del bronzo, preferibilmente al XVIII-XVI secolo a.C. [33], pag.10. Arkaim è stato aperto nel 1987. Gli storici riportano: “Arkaim non è più solo. La ricognizione archeologica... ha permesso di individuare un grande gruppo di monumenti simili al complesso di Arkaim, convenzionalmente denominato “Terra di Insediamento” [33], p.11. Vedere la Figura 11.70. E inoltre: “Gli insediamenti Petrovsko-Sintashta hanno acquisito un carattere urbanizzato, innanzitutto come centri di produzione e distribuzione di prodotti in metallo... Una grande percentuale è costituita da strumenti per la lavorazione dei metalli e resti della produzione metallurgica. In quasi tutti i monumenti, nonostante le aree esposte siano relativamente piccole, sono stati trovati dei forni per i metalli” [33], p. 31.

Gli archeologi insistono sul fatto che ad Arkaim esistesse un sistema di fognature. A quanto sembra, "la direzione delle grondaie, che erano dirette verso le fogne, indica che facevano parte di un complesso sistema di drenaggio" ([33], pagina 25). Quanto sopra implica un alto livello di artigianalità; tali risultati caratterizzano l'ingegneria degli ultimi 300 anni.

La “grande antichità” di questi insediamenti è di carattere dichiarativo, ed è stata sottolineata dagli storici e dagli archeologi per un periodo di tempo relativamente breve. Gli scopritori erano di diverso avviso: ritenevano gli insediamenti più recenti. I. V. Ivanov, dottore in geografia, ci dice quanto segue: “È sorprendente che questa reliquia archeologica non sia stata scoperta prima. L'eccellente pianificazione dell'insediamento, come risulta dalle fotografie scattate dagli aerei, la presenza dell'oggetto sulla mappa topografica e l'eccellente stato delle costruzioni in terra, devono aver portato a datazioni iniziali del sito più recenti. La popolazione locale non ha mai dimostrato alcun interesse particolare per l'oggetto, né godeva di alcuna reputazione enigmatica tra la gente" ([33], pagina 9).


Figura 12.66.
L'insediamento di Arkaim.
Il diametro delle mura della cittadella è pari a circa 150 metri ([33], pagina 24).
Fotografia aerea.
Tratta da [33], pagina 22.

Figura 12.67.
Gli scavi del 1988 nell'insediamento di Arkaim.
Tratto da [33], pagina 23.

Figura 12.68.
L'insediamento di Arkaim ricostruito. Il diametro del muro esterno è pari a circa 150 metri. Disegno di L. L. Gourevich. L'insediamento turco medievale, erroneamente identificato nel XIX secolo come "l'antica Troia di Omero", ha un diametro simile: 120 x 120 metri ([443], pagine 76-77). Scopri di più sulla presunta scoperta della “Troia di Omero” di Schliemann in Cronologia2. La ricostruzione dell'insediamento è tratta da [33], pagina 25.


Figura 12.69.

Uno schema dell'insediamento di Arkaim.
Alcuni dei reperti rinvenuti durante gli scavi.
Tratto da [33], pagina 32.


Figura 12.70.
Una mappa degli insediamenti fortificati che assomigliano ad Arkaim
nella zona di Magnitogorsk.
Come possiamo vedere, qui sono stati scoperti molti insediamenti di questo tipo.
Devono appartenere al sistema delle cittadelle cosacche
della Tartaria moscovita risalenti al XV-XVIII secolo.
Tratto da [33], pagina 55.

Quanto sopra rende le cose perfettamente ovvie: dopo tutto, la gente del posto non considerava in alcun modo misteriose le rovine, forse le considerava di natura recente. Le costruzioni sono in legno e terra, quindi il fatto stesso che siano arrivate fino a noi in buone condizioni, implica che la loro età non può essere troppo grande. Fu solo qualche tempo dopo che gli esaltati fan di tutto ciò che è antico, dichiararono che gli insediamenti erano incredibilmente antichi, senza preoccuparsi di citare alcun dato fattuale a sostegno di tali dichiarazioni. Arkaim è diventata una destinazione popolare per tutti i tipi di pellegrini e turisti. I. V. Ivanov riferisce che “tre o quattromila turisti visitano Arkaim ogni anno, in primavera e in autunno: entusiasti dilettanti di ESP, membri di sette religiose e moltissimi altri, che vengono in cerca di saggezza o addirittura di guarigione... A parte l'interesse regolare dei turisti che vengono a vedere il sito e la riserva naturale, l'oggetto è diventato popolare tra i mistici di ogni tipo, che attribuiscono ogni sorta di poteri paranormali al complesso di Arkaim” ([33], pagina 13).

Arkaim, così come i numerosi altri antichi insediamenti degli Urali meridionali, era stato costruito come una cittadella della steppa. Gli archeologi riferiscono quanto segue: “Gli insediamenti trovati in questa zona sono caratterizzati da massicce fortificazioni, fossati e dighe con palizzate o robuste mura fatte di tronchi e blocchi di pisè. Le fortificazioni sono di tipo chiuso… Le aree fortificate variano in dimensioni, tra i 6.000 e i 30.000 metri quadrati. Contrafforti, torri e altre costruzioni, volte a proteggere tutti gli ingressi dell'insediamento, nonché l'accesso all'acqua, dimostrano l'esistenza di un sistema di fortificazione originale e ben sviluppato” ([33], pagina 22). Apprendiamo persino della “sofisticata eleganza delle soluzioni tecniche” ([33], pagina 27).

Come si comincia a intuire, i ruderi in questione sono molto probabilmente antichi insediamenti, edificati come cittadelle dai cosacchi nel XV-XVIII secolo; facevano parte del sistema di fortificazione militare della Tartaria moscovita. Gli storici hanno tutto il diritto di dire che Arkaim ha un “sistema di fortificazione pari a qualsiasi cittadella medievale” ([33], pagina 25). Il fatto che la cittadella si sia conservata abbastanza bene, nonostante si trovi in aperta steppa, dove le costruzioni di blocchi di pisè, legno e terra, cadono rapidamente prede del vento e della pioggia, contraddice palesemente la “presunta antichità” di questi insediamenti... Alcuni storici hanno notato questa circostanza. Secondo G. B. Zdanovich, “nonostante la grande età di Arkaim, che [presumibilmente – Aut.] fu costruita circa 3600-3700 anni fa, i contorni dell'insediamento sono abbastanza ben visibili sul terreno. Una vista a volo d'uccello rende perfettamente visibili le torri di fortificazione, le rovine delle abitazioni, la piazza centrale e i quattro ingressi” ([33], pagina 24).


Figura 12.71.
La ricostruzione di un sepolcro rinvenuto
durante gli scavi di Arkaim.
La costruzione è piuttosto monumentale.
È conosciuto come il “Sepolcro del Grande Karagan”.
Disegno di A. M. Fyodorov.
Tratto da [33], pagina 49.

Nella fig. 12.71 vediamo “il tumulo funerario di Bolshekaragansk (Arkaim). Tumulo 25, fossa 24. La ricostruzione di un'antica tomba” ([33], pagina 49). Come hanno fatto gli archeologi a datare Arkaim? Con il loro metodo abituale: la ricerca di analogie, ovvero i legami tra i reperti rinvenuti in questo sito e gli oggetti “simili” appartenenti ad altre culture, che anch'essi si presume risalgano a tempi immemorabili. Apparentemente, “i complessi degli Urali possono essere datati dalla caratteristica raccolta di oggetti metallici e dettagli di finimenti in osso, a noi noti anche dai ritrovamenti effettuati nel quarto tumulo di Micene, risalente al XVII-XVI secolo a.C. L'epoca corrisponde a quella di Troia VI, nonché alla fine del periodo dell'Ellade centrale e al primo periodo di Micene nella storia della Grecia continentale” ([33], pagina 35).

Pertanto, gli archeologi e gli storici ritengono sufficiente trovare, ad Arkaim e in diversi altri insediamenti nella regione degli Urali, un certo numero di oggetti che somigliano a quelli di Troia, per dichiarare che sono estremamente antichi. Secondo la nostra ricostruzione, le “antiche” Troia e Micene rappresentano una cultura che non può essere anteriore al XI-XIII secolo d.C., così come gli antichi insediamenti nella regione degli Urali.

Le datazioni errate hanno prodotto diverse misteriose “curve sinusoidali”, inerenti alla storia di Scaligero. Le stesse culture del XIII-XVII secolo furono duplicate (sulla carta) e datate arbitrariamente a epoche diverse, separate da centinaia e persino migliaia di anni. Questo è il modo in cui gli “antichi” duplicati fantasma sono venuti all'esistenza. Gli archeologi moderni studiano la versione scaligeriana e scoprono peculiari ripetizioni, o rinascimenti, che li portano alla costruzione di teorie complesse, volte a spiegare questi strani modelli sinusoidali dell'evoluzione umana.

I loro corollari sono formulati come segue, e sono apparentemente errati: “L’evoluzione delle interazioni sociali è stata tutt’altro che lineare. Assistiamo a lunghe pause e persino a movimenti inversi… gli insediamenti fortificati del sud degli Urali, assomigliano alle città siberiane della taiga risalenti all'età del ferro; si può quindi considerare che la storia della società possieda una dinamica sinusoidale di ascese e cadute, in cui il consolidamento sociale sarebbe inevitabilmente seguito da un ritorno alle tradizioni claniche dei vecchi tempi” ([33], pagina 36).

È probabile che i “misteriosi schemi sinusoidali” siano fittizi. La nostra ricostruzione ritiene che l'evoluzione della società umana sia stata in generale lineare. Dopo la sconfitta dell'esercito della Tartaria moscovita guidata da “Pougachev” nel 1775, le truppe dei Romanov entrarono per la prima volta negli Urali meridionali e in Siberia, vedi sopra. Bisogna pensare che le fortificazioni dei cosacchi dell'Orda furono distrutte e bruciate. I guerrieri e i residenti sopravvissuti dovettero fuggire; le cittadelle abbandonate furono dimenticate e scoperte dagli archeologi solo alla fine del XX secolo. Questa è la natura di Arkaim e delle simili antiche cittadelle del XV-XVIII secolo d.C.

 

 

5. La conquista della Siberia dopo la vittoria su “Pougachev” e le tracce che ha lasciato nella storia della numismatica russa.

La nostra ipotesi, che la guerra tra i Romanov e Pougachev sia qualcosa di radicalmente diverso dalla “soppressione di una rivolta contadina”, come sostengono i Romanov, ma piuttosto una guerra su vasta scala con lo stato vicino, comprendente la Siberia e il Nord-ovest americano, che si è conclusa con l'annessione della Siberia da parte dei Romanov, è perfettamente confermata dalla storia numismatica della Russia.

La conquista di nuove terre che si univano alla Russia dei Romanov, si rifletteva solitamente nelle monete coniate in Russia in quell'epoca. San Pietroburgo iniziò immediatamente a coniare un nuovo tipo di moneta per le province appena unite; in alcuni casi, i Romanov cominciavano a coniare nuove monete, non appena le loro truppe mettevano piede sul suolo di un altro paese destinato all'annessione, senza aspettare che il paese in questione diventasse formalmente una provincia della Russia romanoviana.

Ad esempio, durante la Guerra dei Sette anni del 1756-1763, l’imperatrice Elisabetta Petrovna aveva nutrito il progetto di rendere la Prussia una parte della Russia. Nel 1760, l'esercito russo conquistò Berlino, preceduta dalla conquista della Prussia orientale, con Königsberg presa il 22 gennaio 1758 (datazione vecchio stile: 11 gennaio); tutti gli abitanti e i funzionari della Prussia orientale furono costretti a giurare fedeltà all'imperatrice russa” ([85], volume 38, pagina 477). È risaputo che la guerra in questione non ha portato la Prussia a diventare una provincia russa; tuttavia, il governo romanoviano iniziò a coniare monete d'argento in massa per la Prussia, già nel 1759 ([857], pagine 371-375; vedi figure 12.72, 12.73 e 12.74).

Monete speciali furono coniate dal governo russo per la Georgia nel 1806-1833, dalle zecche statali di Tiflis e San Pietroburgo ([857], pagine 342-345). A parte il valore, i nomi portavano la legenda “kartkhuli puli”, ovvero “moneta georgiana” (ibid, pag. 342).


Figura 12.72.
Le “monete prussiane” da 18 grosh coniate in massa nel 1759 da Elizaveta Petrovna
per la Prussia, che avrebbe dovuto essere annessa alla Russia dopo
la vittoria nella Guerra dei Sette Anni del 1756-1763.
Su un lato della moneta vediamo lo stemma prussiano (un'aquila monotesta
) e la scritta moneta regni pruss, ossia “moneta prussiana”.
Sul rovescio vediamo il profilo dell'imperatrice russa Elizaveta Petrovna
e la seguente scritta: ELISAB. I. D. G. IMP. TOT. RUSS.
Prima del conio di queste monete (nel 1758) i residenti e i funzionari
della Prussia orientale avevano giurato la loro fedeltà all'imperatrice russa ([85],
volume 38, pagina 477).
Le “monete prussiane” di diverso valore furono coniate in grandi quantità,
inizialmente a Königsberg, e successivamente a Mosca (1759-1762), vedi in [857],
pagine 371-372. Nel 1763, dopo la fine della guerra,
divenne evidente che la Prussia non sarebbe mai diventata
una provincia russa e la coniazione della “moneta prussiana” cessò.
Tratto da [857], pagina 372.


Figura 12.73.
Le “monete prussiane” da 2 grosh coniate in massa nel 1760
da Elizaveta Petrovna per la Prussia, che avrebbe dovuto essere annessa alla Russia
dopo la vittoria nella Guerra dei Sette Anni del 1756-1763.
Su un lato della moneta vediamo la scritta grossus regni pruss,
ovvero il Grande Principato di Prussia.
Il rovescio rivela la scritta moneta AR G. T. NTEA.
Tratto da [857], pagina 372.

 


Figura 12.74.
“Monete prussiane” coniate da Elizaveta Petrovna per la Prussia,
come potenziale provincia russa.
Vediamo lo stemma prussiano su un lato della moneta (l'aquila),
così come la scritta che dice moneta regni pruss (“moneta prussiana”).
Sul rovescio vediamo il profilo dell'imperatrice russa Elizaveta Petrovna
e la scritta che dice ELISAB. I. D. G. IMP. TOT. RUSS.
Dalla collezione di T. G. Fomenko. Fotografia scattata nel 2000.

Nel 1787, quattro anni dopo l’annessione della Crimea, furono coniate speciali monete russe per quella zona, le cosiddette “monete Tauris” (ibid, pagina 341; vedi fig. 12.75). E così via e così via.

La monetazione siberiana occupa un posto speciale nella storia. A quanto pare, i Romanov iniziarono a coniare un tipo speciale di “moneta siberiana” nel 1763, 12 anni prima della loro vittoria finale su Pougachev ([857], pagine 335-340; vedi figure 12.76, 12.77 e 12.78). Smisero di coniare questa moneta nel 1781, 6 anni dopo l'esecuzione di Pougachev (ibid). Ciò sarebbe accaduto solo nei casi in cui la Russia Romanoviana avesse intrapreso guerre contro i suoi vicini, per annettere nuovi territori. Solo in questi casi veniva coniata una nuova moneta per le nuove province. Il governo avrebbe cessato di coniare monete speciali non appena gli abitanti di una determinata provincia si fossero abituati alla normale valuta russa. Elencheremo tutti questi casi di seguito.


Figura 12.75.
Monete tauriche d'argento coniate dalla Russia per la Crimea quando divenne una provincia russa. Queste monete furono coniate solo nel 1787 ([857], pagina 341). Quando la Crimea divenne parte della Russia, furono sostituite dalle normali monete russe. Vediamo il sigillo di Caterina la Grande e la scritta che dice "Regina di Chersoneso in Tauride" in russo. Tratto da [857], pagina 341.



Figura 12.76.
"Monete siberiane" da 10 e 5 copechi coniate dall'amministrazione romanoviana nel 1777.
I Romanov emisero monete siberiane tra il 1763 e il 1781 ([857], pagine 335-338).
Inizialmente furono coniate presso la zecca di San Pietroburgo
(nel 1763-1764), secondo [857], pagina 335.
Successivamente, la loro produzione fu trasferita alla zecca di Kolyvanskiy.
Le monete siberiane furono coniate fino al 1781,
dopodiché furono sostituite dalle normali monete russe.
Tratto da [857], pagina 339.


Figura 12.77.
"Monete siberiane”: due copechi, un copeco, un denga e una polushka. Coniate nel 1777. Tratto da [857], pagina 339.


Figura 12.78.
"Una “moneta siberiana” da dieci copechi.
Coniata nel 1780. Dalla collezione di T. G. Fomenko.
Fotografia scattata nel 2000.

La speciale moneta siberiana coniata nel 1763-1781 è un'altra prova della nostra ricostruzione, che sostiene che la vittoria dei Romanov su Pougachev, fu la sconfitta militare della Tartaria moscovita, uno stato russo che era stato vicino alla Russia romanoviana e comprendeva la Siberia, così come il nord-ovest americano, la cui capitale era Tobolsk.

La monografia di V.V. Ouzdenikov intitolata Le Monete Russe, 1700-1917 ([857]), assegna una sezione speciale per le monete della Russia dei Romanov coniate per le province che avevano aderito di recente (“Emissioni Regionali e Nazionali”, vedere [857], pagine 330-381). Tutti i tipi di monete indicati in [857] sono elencati di seguito.

1) Le monete per le province baltiche, i cosiddetti “livonesi”, d'argento, vedi fig. 12.79. Sono state coniate per la Livo-Estonia, la Livonia e l’Estonia). Gli anni di emissione vanno dal 1756 al 1757 ([857], pagine 330-334). Si presume che l'Estonia sia andata alla Russia dopo il Trattato di pace di Nistadt, firmato con la Svezia nel 1721. Tuttavia, l'Estonia rimase per un po' uno stato autonomo de facto, governato dai baroni locali ([85], volume 49, pagina 201). Fino al 1782 al confine tra Russia ed Estonia era attivo un ufficio doganale (ibidem, pag. 224).

2) Monete siberiane (vedi fig. 12.76, 12.77 e 12.78). Anni di emissione: 1763-1781 ([857], pagine 335-340). La versione della storia romanoviana non ci dice nulla sull'annessione della Siberia nel XVII-XVIII secolo. Si dice che la Siberia sia appartenuta a loro fin dall'inizio. Tuttavia, abbiamo visto che i Romanov devono aver sconfitto lo straordinario stato comprendente la Siberia e il nord-ovest americano nel 1775, rendendolo parte del loro impero poco dopo. In questo caso, le date di emissione delle monete siberiane romanoviane coincidono con le datazioni della guerra contro la Tartaria moscovita, compresi i preparativi per la guerra e pochi anni dopo la vittoria.


Figura 12.79.
"Monete russe coniate per le province baltiche (le cosiddette “monete livonesi”).
La loro produzione risale agli anni 1756-1757 ([857], pagina 330).
Vediamo l'aquila bicefala russa con gli stemmi di Livonia ed Estland.
La scritta si legge come "moneta livoestonica", o moneta livonese ed estone.
Su altri esemplari si legge "MONETA LIVONICA ET ESTLANDIA" ([857], pagina 330).
Tratto da [857], pagina 332.

3) Le Monete Tauris, argento, vedi fig. 12.75. Anno di emissione: 1787 ([857], pagina 341). La Crimea (precedentemente nota come Tauride) divenne parte della Russia nel 1783 ([85], volume 23, pagina 552). Quattro anni dopo fu coniata un'emissione speciale di monete della Crimea.

4) Monete per la Georgia. Anni di emissione: 1806-1833 ([857], pagine 342-345). La Georgia fu unita alla Russia intorno al 1801-1813 nel corso della guerra con la Persia (1804-1813) e la Turchia (1806-1812), vedi [85], volume 13, pagina 46. Il manifesto di Alessandro I sull'acquisizione della Georgia risale al 1801 (ibid). L'acquisizione divenne permanente dopo le vittorie militari sulla Turchia e sulla Persia nel 1804-1813. L'emissione di monete russe per la Georgia aveva dato inizio a queste guerre combattute nel 1806; durò circa 25 anni.

5) Monete per la Polonia (vedi fig. 12.80). Anni di emissione: 1815-1841 ([857], pagine 346-358). La Polonia si unì alla Russia dopo il Congresso di Vienna del 1814-1815 ([85], volume 34, pagina 32). Nel 1815 una parte dell'ex Ducato di Varsavia “diventò il Regno di Polonia... l'imperatore russo si dichiarò Re (Zar) di Polonia” (ibid). L’emissione di moneta russa per la Polonia iniziò nello stesso anno, nel 1815.

6) Monete per la Finlandia (fig. 12.81). Date di emissione: 1863-1917 ([857], pagine 359-367). La Finlandia fu unita alla Russia nel 1809, dopo la guerra del 1808-1809 tra Russia e Svezia ([85], volume 45, pagina 182). Tuttavia, nel 1863, il governo russo fece una serie di concessioni alla Finlandia; in particolare, “una riforma valutaria fu attuata nel 1860-1865; come risultato la Finlandia ottenne una propria valuta” (ibid, pagina 183). Pertanto, l’emissione di una moneta speciale per la Finlandia è avvenuta sulla scia del cambiamento di status di questa provincia, recentemente unita alla Russia.

7) Monete per effettuare pagamenti in Polonia, argento (vedi fig. 12.82). Coniate sotto Pietro il Grande durante la guerra del 1707-1709 tra Russia e Svezia. Le monete hanno da un lato la mezza faccia di Pietro il Grande e dall'altro l'aquila bicefala russa. La leggenda dice: “Lo Zar e Gran Principe Peter Alexeyevich, signore e sovrano di tutta la Russia”. L'anno è trascritto con numeri slavi su alcune monete e con numeri arabi su altre. Il valore delle monete non era indicato (vedi fig. 12.82 e [857], pagine 368-369).


Figura 12.80.
Moneta russa in argento coniata per la Polonia con il profilo dello zar Alessandro I
e la scritta che recita “10 ZLOTYCH POLSKICH”, ovvero “dieci zloty polacchi”.
Tali monete di vari tagli (d'oro, d'argento e di rame) furono coniate nel 1815-1841,
o nei primi decenni che seguirono l'annessione della Polonia alla Russia ([857],
pagine 346-358). Furono sostituite dalle normali monete russe,
che rimasero in circolazione fino alla rivoluzione del 1917. Tratto da [857], pagina 353.


Figura 12.81.
Monete russe coniate per la Finlandia, ex provincia della Russia (fino al 1917). I valori variavano da 1 penny a 20 markkaa (oro, argento e rame). Vedere [857], pagine 359-367. Tratto da [857], pagina 380.

Pertanto, il governo russo dell’epoca di Pietro aveva ritenuto che l’iscrizione più adatta per la moneta polacca sarebbe stata in russo. Pietro potrebbe aver pensato di unire la Polonia alla Russia, altrimenti non è chiaro il motivo per cui vorrebbe avere la sua mezza faccia sulle monete polacche.

Le monete russe per la Polonia furono coniate nel 1707-1709, quando la Polonia fu annessa alla Svezia, nemica della Russia in questa guerra ([85], volume 34, pagina 28). Le monete furono quindi coniate per un paese dominato dall’avversario militare della Russia. L’emissione di moneta polacca potrebbe essere spiegata con la speranza che la Polonia diventasse parte della Russia. Quando la guerra finì nel 1709 e divenne chiaro che la Polonia non sarebbe diventata parte della Russia, le emissioni furono interrotte.


Figura 12.82.
"Monete d'argento coniate in Russia sotto Pietro il Grande.
come moneta a corso legale utilizzata
in Polonia durante la guerra tra Russia e Svezia.
Le monete furono coniate tra il 1707 e il 1709,
senza alcuna denominazione
indicata su di esse ([857], pagina 368).
L'iscrizione è in russo: "Lo zar e gran principe Pyotr Alexeyevich,
signore e sovrano dell'intera Russia".
Tratto da [857], pagina 369.


Figura 12.83.
"Chervonet russo dorato del 1716 con caratteri latini.
Su un lato della moneta vediamo il profilo di Pietro il Grande;
il rovescio della medaglia raffigura l'aquila bicefala russa.
La denominazione della moneta non è indicata da nessuna parte.
Il titolo latino di Pietro scritto sulla moneta si traduce
come "Governatore della Russia per grazia del Signore,
Gran Principe di Mosca" ([857], pagina 370).
Lo scopo dietro il conio di questa moneta da parte dell'amministrazione
di Pietro rimane sconosciuto ([857], pagina 370). Tratto da [857], pagina 371.


Figura 12.84.
"Moneta russa per Moldavia e Valacchia coniata nel 1771,
durante la guerra con la Turchia, quando le truppe russe occuparono le province
turche di Moldavia e Valacchia. La moneta ha una doppia indicazione di
denominazione: in turco “paras” e in russo “dengas”, uno dei primi equivale a tre dei
secondi. Queste monete furono coniate nel 1771-1774 presso la zecca privata di
Sandogur, ordinata dal governo russo ([857], pagina 377). Nel 1774 fu firmato il
patto Kyuchuk-Karnadji con la Turchia, che specificava che la Moldavia e la
Valacchia sarebbero rimaste parte dell'Impero turco ([85], volume 28, pagina 87).
Il conio di monete russe per la Moldavia e la Valacchia fu interrotto lo stesso
anno ([857], pagina 377).
Tratto da [857], pagina 380.


Figura 12.85.
"Monete russe per Moldavia e Valacchia coniate nel 1773, quando il governo romanoviano stava progettando di unire queste terre alla Russia dopo la guerra con la Turchia. Questi piani non furono mai realizzati e il conio delle monete fu interrotto nel 1774 ([857], pagina 377). Da un lato vediamo lo stemma della Moldavia e della Valacchia e la scritta che si traduce come “moneta della Moldavia e della Valacchia”. D’altro canto troviamo una doppia denominazione: in russo kopeki (o “dengas”) e in turco “paras”.
Tratto da [857], pagina 380.

 

8) Chervontsi d'oro del 1716 con mezzo volto di Pietro I, aquila bicefala e l'iscrizione latina che dice “Sovrano di Russia per grazia del Signore, Gran Principe di Mosca” (fig. 12.83). Il valore di questi chervontsi non è stato indicato da nessuna parte; tuttavia, “le dimensioni e lo standard della lega di queste monete, corrispondevano ai ducati olandesi, che erano ampiamente utilizzati nel commercio internazionale” ([857], pagina 370). Le ragioni per cui il governo di Pietro voleva coniare queste monete, rimangono poco chiare: la monografia le inserisce nella categoria delle “monete utilizzate per i pagamenti all’estero” (ibid). Pietro potrebbe aver avuto intenzione di usarle nei paesi dell'Europa occidentale che aveva intenzione di conquistare e farli parte della Russia.

9) Monete per la Prussia, argento (figg. 12.72, 12.73 e 12.74. Anni di emissione: 1759-1762, ovvero la Guerra dei Sette anni; epoca in cui Elisabetta aveva inteso fare della Prussia una provincia russa. Subito iniziò la coniazione delle monete, dopo la fedeltà giurata all'imperatrice russa dagli abitanti della Prussia orientale nel 1758 ([85], volume 38, pagina 477). Intendiamo produzione di massa e non lotti di campioni ([857], pagine 371-375).

10) Monete straniere coniate in Russia. Queste furono coniate dalla zecca di San Pietroburgo in segreto, senza il permesso dei rispettivi governi ([857], pagina 376). Si conoscono due di queste monete: le copie russe del ducato olandese e le piastre turche. Entrambe le monete sono d'oro (ibid).

11) Monete per Moldavia e Valacchia (figg. 12.84 e 12.85). Anni di emissione: 1771-1774 ([857], pagine 377-381). Sebbene Moldavia e Valacchia, due principati sul Danubio che in precedenza avevano fatto parte dell'impero turco, fossero di fatto protettorati della Russia sin dal trattato di pace Kyuchuk-Kainardji tra Russia e Turchia nel 1774, non si erano uniti formalmente all'impero russo ( [85], volume 28, pagina 87). L'acquisizione ufficiale avvenne molto più tardi, nel 1877 (ibid). Questo fatto si è riflesso nella storia numismatica. Quando la Russia cercò di unirsi ai principati del Danubio nel 1771-1774, il governo iniziò a coniare monete per la Moldavia e la Valacchia. Quando nel 1774 divenne chiaro che farle aderire formalmente all'impero era una non opzione, la coniazione cessò.

Possiamo quindi vedere che in ogni caso l'emissione di monete speciali da parte del governo romanoviano era stata associata all'acquisizione di nuove terre dai paesi vicini o ai tentativi per farlo. Le monete siberiane non fanno affatto eccezione. È probabile che la Siberia, così come l'Alaska americana, si fosse effettivamente unita alla Russia Romanoviana proprio alla fine del XVIII secolo, dopo la lunga e violenta guerra contro “Pougachev”. Entrambi avevano fatto parte prima di un altro stato, un gigantesco regno russo che era stato ostile ai Romanov, l’ultimo resto del Grande Impero Mongolo. La versione errata della storia russa fu impiantata solo dopo la sconfitta dello stato siberiano e americano della Tartaria moscovita, poiché a quel tempo non erano rimasti più avversari.